Uno dei più strani episodi storici mai accaduti, sconosciuto ai più, è il cosiddetto Piano Fugu. Si trattò del tentativo, avvenuto alla fine degli anni ’30 del XX secolo, di stabilire una colonia ebraica nel nord-est della Cina, all’epoca indipendente con il nome di Manchukuo, sotto l’egida giapponese.
I primi ebrei cominciarono ad affluire in Manciuria in seguito alla Rivoluzione d’Ottobre ed alla guerra civile russa. Superarono quota 13.000 nella sola Harbin a metà degli anni ’20. Tuttavia l’afflusso si fece massiccio solamente nella seconda metà degli anni ’30, in seguito all’approvazione di leggi razziali in vari stati europei. I nuovi arrivati costituirono una colonia di quasi 50.000 elementi. Non molti, rispetto agli oltre 43 milioni di abitanti del Manchukuo, ma pur sempre un numero significativo. La maggior parte di questi si specializzarono nel prestito ad usura ed in altre forme di sfruttamento della popolazione locale.
Il Piano Fugu
La svolta per gli ebrei della Manchuria venne in seguito all’interessamento delle autorità nipponiche. Il governo imperiale aveva avuto contatti con banchieri ebrei statunitensi agli inizi del ‘900. Questi ultimi avevano infatti finanziato la guerra russo-giapponese. I rapporti rimasero buoni ed il governo imperiale ebbe durante gli anni ’20 e ’30 contatti con il movimento sionista. Alcuni funzionari giapponesi di alto rango ebbero addirittura colloqui diretti con Chaim Weizman.
Da questa catena di relazioni nacque il Progetto Fugu, che prese il nome dal pesce palla giapponese. L’idea era di offrire agli ebrei un focolare nazionale in Manciuria in cambio dell’intermediazione dei banchieri ebrei americani con il governo di Washington. Il fine era risolvere diplomaticamente le tensioni che già si stavano generando nel Pacifico tra Giappone e USA. Il nome venne scelto per i rischi che il progetto presentava: così come il Fugu può diventare velenoso se non preparato correttamente, anche il progetto presentava la sua buona dose di rischi.
Risvolti inattesi
Alla fine il progetto non ottenne risultati, anche perché dopo Pearl Harbor risultò superato dai fatti, ma la colonia ebraica del Manchukuo rimase al suo posto, sotto la protezione giapponese, continuando anzi a prosperare durante il corso della guerra. La protezione del governo imperiale non fu tuttavia disinteressata: gli ebrei investirono massicciamente nelle fabbriche di armamenti ed altri materiali bellici impiantate dai giapponesi in Manciuria e nel resto del territorio cinese occupato. Fabbriche con condizioni di lavoro decisamente inumane, al limite della schiavitù se non peggio. È corretto affermare che la colonia ebraica fu la principale fonte di finanziamento dello sforzo bellico nipponico per tutta la durata della guerra, ricevendone in cambio protezione e lauti guadagni.
Conclusioni
Il dato più paradossale di questa situazione è che il Giappone era alleato del Terzo Reich. Anche sul piano locale, il governo imperiale aveva stretto alleanza con i russi bianchi, che costituirono una legione di oltre 20.000 soldati a difesa del Manchukuo e che erano probabilmente il gruppo politico più antisemita esistente al mondo.
Negli ultimi mesi del conflitto la maggior parte dei coloni ebrei scappò in Giappone e, dopo la fine della guerra, riuscì ad emigrare negli Stati Uniti
Il Piano Fugu e tutte le sue assurde conseguenze vennero quietamente ignorati sia da Giappone e Cina, che avevano interesse a stabilire relazioni diplomatiche con il neonato Stato di Israele, che dagli Stati Uniti, dove la potentissima lobby ebraica non voleva dare pubblicità al fatto che alcuni loro correligionari avevano collaborato con l’Asse: real-politik allo stato puro dall’inizio alla fine.
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