I miei contatti FB rigurgitano di critiche sprezzanti all’indirizzo del povero ministro Bonafede. Si tratta per lo più di contatti toscani, addirittura fiorentini, il che non sorprende. «Nemo propheta in patria», disse qualcuno di assai autorevole molti anni or sono. Epperò, mosso da forte empatia, mi sono fatto carico di scandagliare le nascoste doti profetiche del ministro. Non essendo Tiresia, ho lavorato sulle fonti, in mancanza di visioni. Sono partito dai dati concreti, di cui potevo disporre, da uomo qualunque quale sono. A cominciare dal volto. Convinto da sempre che Lombroso non avesse preso lucciole per lanterne, a dispetto della pubblicistica cattiva che lo ha demonizzato, ho osservato attentamente il volto di Alfonso. Ho scorto in esso il tipico tratto del fine giurista, l’occhio vitreo del pandettista, che parla di cose che non capisce (giacché capirle non serve a molto) e il cui contenuto di irrealtà non è inferiore a quello dell’ippogrifo. Non è colpa di Bonafede se lo sguardo il più delle volte è spento e assente. Sfido chiunque a infiammarsi di passione e a trasmettere entusiasmo leggendo Puchta. Il labbro inferiore, generalmente pendulo, ha rafforzato le mie convinzioni. Gli conferisce un’aria alla Demostene, merce rara sul volto di un ministro. O «ἂνδρες Ἂθεναιοι!», mi è parso di sentirgli dire. E ho provato un soprassalto di orgoglio all’idea di un ministro che pare sbucato dall’Atene del V secolo. In ogni caso, chi diffidasse della fisiognomica resterebbe comunque senza argomenti se posto dinanzi alla questione dei nomi. I nomi hanno la loro importanza. Rocco è un nome perfetto per un giurista, giacché suggerisce l’idea di qualcosa di solido e immobile. «Gli occhi fissi nel sasso, al sasso indifferente», ci racconta Ariosto di Orlando, giunto al culmine della sua follia. Il mondo nella sua follia fissa il giurista-sasso, che se ne sta immobile per natura, e fa dannatamente bene a starsene fermo e impassibile: è il suo munus a imporgli un’algida indifferenza al cospetto del turbinio dei fatti che si agitano sotto la spessa scorza delle norme. Sì, Rocco è decisamente un nome perfetto. Calamandrei, il più delle volte citato a capocchia, molto meno. È un condizionale imprecisato, un’eterna apodosi. E infatti Piero aveva una levità assai poco minerale. Si dilettava di letteratura, cazzeggiava in case di campagna. Sul nome Calamandrei, pollice verso. Ma chi può seriamente osare dir qualcosa contro il nome Bonafede? Bonafade è addirittura una clausola generale del diritto. Quasi meglio di Rocco. Giuristi d’un tempo definivano le clausole generali “diaframmi”, “clausole respiratorie”, in altre parole anfratti che lasciano scorrere l’aria e in fin dei conti la vita nell’ordinamento giuridico. Vento, spifferi, aria che scorre. Si vedrà qui come il nome Alfonso rafforzi e ribadisca le potenzialità rigeneranti della Bonafede. Si tacciano dunque i critici, di qualsiasi colore politico. Criticare aspramente un ministro di grazia e giustizia che di cognome fa Bonafede sarebbe come criticare un ministro che si chiama Fideiussione. Sileant theologi in munere alieno. O, detto altrimenti: nomina sunt consequentia rerum.