Sapete che c’è il reddito di cittadinanza onoraria? Lo stanno varando le giunte di centro-sinistra sparse in Italia che portano all’incasso la cancellazione delle cittadinanze onorarie a Mussolini. Si è aperta in tutta Italia la caccia alla cittadinanza onoraria da revocare: da Livorno a Colorno, da Ravenna a Mantova, da Pisa a Bologna, da Varese a Torino, da Aulla a Rivoli, da Fossombrone a Rho, da Crema a Volterra, da Certaldo di Firenze a Sarno, dove si iniziò a parlarne. Ora è toccato a Bergamo e altre città si scaldano ai bordi del campo(santo) per vilipendere il cadavere ducesco e affini. Ovunque si riprendono polverose scartoffie di un secolo fa, si riesumano atti puramente formali e rituali, ormai caduti da tempo immemorabile nel dimenticatoio, per rilanciare l’eterna caccia alle streghe del passato regime. Uno sport da beccamorti, che oltraggia la storia, pur di speculare sui residui livori del passato. Da tempo, anzi, l’assenza di contenuti e di ideali porta la politica a ripiegare su queste sterili battaglie per revocare o intitolare vie alla luce del catechismo presente e sentirci migliori di tutti i nostri predecessori. Premio di consolazione: hanno intitolato a Ladispoli una piazza ad Almirante…
Ma soprattutto è grottesco e anacronistico applicare i criteri, le idee, le convinzioni del presente al passato, con la pretesa di modificare gli eventi, gli atti e i fatti del passato. Elementare buon senso: puoi cambiare il presente e il futuro ma il passato non puoi modificarlo, resta lì duro e inflessibile come una pietra. Non puoi piegarlo alle convenienze del presente.
Sulle intitolazioni delle strade si abbatte un ridicolo revisionismo toponomastico, che non risparmia le statue e i monumenti dedicati agli eroi, i fondatori, gli scopritori, rimossi nel nome del politically correct, perché si giudica il passato col metro del presente. Cancellare gli eroi, i santi, i grandi che si macchiarono di qualche colpa ai nostri occhi e sostituirli con le vittime, non solo loro ma anche comuni malcapitati. Un modo per ridurre la storia a un monte di pietà, senza onore, senza grandezza e senza opere o eventi rilevanti.
Ma se si fa un viaggio a ritroso nella storia è difficile che i grandi siano conformi ai canoni dominanti di oggi: la parità dei diritti, il ripudio della guerra e della violenza, della supremazia dei bianchi sui neri, della sottomissione della donna o il giudizio sugli ebrei, gli stranieri e gli omosessuali. Dovremmo allora cancellare dai nostri libri, dalle nostre piazze, dalle nostre memorie, quasi tutti i grandi del passato, in ogni campo, e resettare la nostra memoria storica fino a renderla, come auspicava il pessimo Mao Tse Tung, “una pagina bianca”. Vuota, spettrale. Bisogna saper distinguere il giudizio storico dalla velleità di modificare retroattivamente il passato. Svuoteremmo la nostra memoria, sbianchetteremmo tutti gli atti compiuti in altre epoche, butteremmo a mare tutti i sovrani, condottieri, artisti, scienziati, pensatori, protagonisti del mondo che si macchiarono di colpe che risaltano solo ai nostri occhi di posteri.
La stessa cosa è avvenuta con la statua di Indro Montanelli che il giorno della Festa della Donna è stata vergognosamente imbrattata con vernice rosa perché durante la guerra d’Africa Indro aveva “sposato” una minorenne eritrea, come era nei costumi del luogo e come era ammesso nei canoni del tempo. Ma non possiamo applicare il nostro modo di vedere e di fare ad altre epoche, altri luoghi, altri contesti. E non possiamo ridurre un personaggio importante solo a un aspetto della sua vita, a un episodio, a una frase pronunciata; dobbiamo saper considerare il contesto di una biografia, le sue opere, le sue eredità, e non crocifiggerlo con i chiodi del nostro tempo. La stessa cosa vale, per esempio, per tutti quegli scienziati a cui furono dedicate vie per la loro ricerca e per i loro preziosi contributi all’umanità che però non valgono più perché firmarono lo scellerato manifesto sulle leggi razziali. Una pagina nera, vista col senno di poi, cancella il libro intero di una vita.
La stessa cosa accadde quando fu chiesto ripetutamente a papi e presidenti di scusarsi per gli errori o gli orrori compiuti nel passato, in altre epoche, dai loro predecessori o dalle istituzioni che essi rappresentano. Un atto di contrizione ipocrita e surreale, perché non puoi scusarti per conto di altri, per giunta vissuti mille anni prima di te. Non ha senso, è ridicolo, non serve a niente, è moralismo falso, è presunzione di superiorità.
Il discorso, naturalmente, vale in ogni versante; anche per le testimonianze lasciate dai regimi comunisti o per la toponomastica nostrana che ricorda i loro leader, nonostante gli orrori, le colpe e le omissioni di cui si macchiarono.
Ma la storia è questa, i pentimenti non si possono retrodatare; né si può fuggire dalla memoria, non assumersi sulle proprie spalle il suo peso. È solo un atto di viltà e di demagogia a babbo morto. È tipico dei regimi dispotici e totalitari pretendere di manipolare la storia e modificare o cancellare il passato. E poi, merita rispetto chi sfidò Mussolini quando era vivo e imperante, ma accanirsi a 74 anni dalla sua morte e magari a cento dall’atto comunale, su trascurabili, irrilevanti dettagli del passato, come la cittadinanza onoraria, è un segno di meschinità, che offende gli uomini di quel tempo e mostra di non avere nulla di meglio, di più importante e di più utile per la propria città di cui occuparsi. Che miseria, pensare di poter lucrare politicamente sul reddito di cittadinanza onoraria…
MV, La Verità 14 marzo 2019