Sto seguendo la crisi di governo su un canale speciale dedicato. Ogni sera al posto della televisione accendo il teatrino delle marionette, che rappresenta quel che sta succedendo meglio del telegiornale. Mi siedo davanti al teatrino e cerco di capire la politica e la sua evoluzione, perché le analisi e le teorie politiche non servono più; basta vedere lo spettacolo, è più verace. Dunque, appena si alza il sipario il primo burattino che salta agli occhi e s’impone sulla scena, per prosopopea e magniloquenza, è l’Avvocato Balanzone, incaricato premier. Il nome Balanzone è storpiatura di bilancia, che è il simbolo della giustizia ma anche di chi si barcamena tra i due piatti della bilancia; ossia, come diceva Goldoni, è servitore di due padroni. In abiti borghesi la maschera si fa chiamare Giuseppe Conte, avvocato e professore come Balanzone. Lui giurò all’inizio della crisi che sarebbe stato trasparente. È stato di parola, lui è davvero trasparente: prende infatti il colore di chi gli sta dietro. Giallo, verde, rosso, bianco, a stelle, a strisce…
Con lui ci sono pure Baciccia, la maschera genovese nota come Beppe Grillo, che anche nella vita seria fa la maschera, e Gianduia Casaleggio, maschera piemontese che si traveste ogni tanto da Piattaforma Rousseau. Al loro fianco c’era fino a poco tempo fa uno scugnizzo con gli occhi cerchiati, un burattino napoletano solitamente allegro e vivace che ora invece è triste come un Pierrot: è Pulcinella, all’anagrafe Luigino Di Maio, inventore del reddito di cittadinanza che è la traduzione burocratica del piatt e’maccarune per la plebe affamata: lui, in una sceneggiata abolì la povertà, in un’altra cancellò i debiti e nel giro di una tarantella tagliò privilegi, pensioni d’oro e vitalizi. Ora il navigator Spadafora gli sta trovando un posto nel governo. A Napoli il suo antagonista storico di quartiere è una mezza maschera, don Felice Sciosciammocca, alias Roberto Fico, con la sua parlata da Ninnillo di mammà e la sua proverbiale mosceria da posapiano. Cumpariello di Pulcinella è invece una maschera romana con la testa ciondolante e la lingua spavalda, Meo Patacca, al secolo Ale Di Battista, con le sue gag veraci.
Ma la maschera romana che oggi tratta con l’Avvocato Balanzone per comandare nel paese di Pulcinella, è Rugantino, fratello di un attore più famoso e frate minore in un convento dei padri pidini, al secolo Nicola Zingaretti, che dopo il ribaltone qualcuno chiama Zingarenzi. Infatti Rugantino abbozza, ride, fischia, annuncia, ma non decide e tantomeno pensa con la testa sua. Dietro di lui si avverte la voce fanciulla e la cadenza toscana di Stenterello, maschera fiorentina un po’ sborona dalla veloce parlantina e dalla mimica sbruffoncella, che veste i panni secolari di Matteo Renzi (che ha una somiglianza impressionante con la faccia del jolly nelle carte); è lui il vero socio occulto, come il sangue nelle feci, del teatrino di governo in fieri, il mandante del governo Balanzone-Rugantino.
La maschera che fu bandita dal teatrino dopo un suo atto di ribellione contro i predetti, fu invece Meneghino, al secolo Matteo Salvini, milanese che pretese come Atlante di portar da solo sulle spalle il mondo intero. Volle sfidare l’universo, uno contro tutti. E tutti furono contro uno e lo fecero fuori a ferragosto, alla brace. Entrò in agosto da primo ministro in pectore, esce ora da nullatenente vituperato. Lui si appella al popolo votante ma nel teatrino conta solo il pubblico pagante e ancor più quello col posto riservato.
La sua maschera si accompagna a quella di Colombina in versione romanesca, al secolo (d’Italia) Giorgia Meloni, con la quale porta in scena nelle piazze lo spettacolo sovranista; lei, unica donna tra tante marionette maschili, è pure la sola maschera che esce da agosto a testa alta e coi sondaggi in crescita. Vola Colombina.
Un po’ con loro e un po’ contro di loro è il patrigno, una maschera brianzola un po’ brigante, non a caso nota come Brighella, alias Silvio Berlusconi. Quando si prevede la vittoria di Salvini il Cavalier Brighella si maschera da alleato sovranista, quando invece si allontana la prospettiva del voto, si maschera da mummia liberale e si dice disponibile ad aiutare il governo giallorosso che pure dice di detestare. Da anni fa il funambolo ed essendo ricco cambia maschera ogni giorno come fossero mutande; è la maschera più allestita dell’intero carro allegorico, con più cerone e mascara in faccia di tutti i mimi messi insieme; non a caso è il decano delle maschere nel teatrino della politica.
Come vedete, lo spettacolino si annuncia divertente se dura un’ora e se serve per distrarsi dalla situazione e non pensare alle cose serie. Ma la cosa tremenda è se questo teatrino con questa arlecchinata di governo coincidesse con la realtà e la sorte ventura dell’Italia. Ditemi che siamo alla ricreazione, vi prego, pago il biglietto e vedo lo spettacolo. Fatece ride, ve prego, nun fatece chiagne.
MV, La Verità 4 settembre 2019