Il vento del cambiamento
“Wind of change” è il celebre pezzo composto da Klaus Meine, front man degli Scorpions, che così ha musicalmente immortalato uno degli eventi storici più significativi della storia del ‘900: la caduta del muro di Berlino.
La caduta del muro di Berlino, il 9 novembre del 1989, ha avviato di fatto il collasso definitivo del sistema sovietico e segnò fisicamente la cesura tra gli ultimi retaggi della Seconda Guerra Mondiale e un mondo proiettato verso nuovi scenari geopolitici.
Noto come Berliner Mauer da parte occidentale, e con il ben più emblematico nome di Antifaschistisher Schutzwall da parte orientale, la sua costruzione fu avviata nella notte tra il 12 e il 13 agosto del 1961 – la “domenica del filo spinato” – e divenne emblema tangibile della polarizzazione indotta dalla Guerra Fredda. Più di qualsiasi altro simbolo, fu la fisica espressione della cortina di ferro, la linea “immaginaria” che opponeva i paesi della NATO a ovest e gli aderenti al Patto di Varsavia a est.
Il muro aveva una lunghezza di 155 km ed era alto quasi 4 metri
In mezzo correva la “striscia della morte” – creata con l’edificazione di una seconda cinta muraria, per rendere ancora più impossibile la fuga – e andò a incidere sulla struttura della città, creando una divisione invalicabile.
Prima dell’agosto del 1961, le cose andavano diversamente
Dal 1949 al 1961, infatti, gli spostamenti tra Berlino ovest ed est erano consentiti. La situazione precipitò quando Kennedy e Kruscëv, in un incontro tenuto a Vienna nel giugno del 1961, per discutere la sorte di Berlino ovest – per gli americani necessario integrarla alla Germania federale mentre per i russi doveva assumere lo status di città libera – non raggiunsero nessun accordo.
Di conseguenza, i sovietici eressero il muro, chiudendo l’unico varco lungo la cortina di ferro e impedendo così per 28 anni ogni contatto tra le due parti, che non si limitò solo alla città e ai suoi abitanti, ma acuì il divario tra i due blocchi.
Poi, il vento del cambiamento
A metà degli anni ’80 la stabilità del blocco orientale cominciò a essere minata al suo interno. Con la salita al potere di Gorbačëv e il suo riformismo sotto forma di perestrojka, si innescò un processo irreversibile che nel giro di un decennio dissolse completamente il sistema delle “democrazie popolari”.
Pioniera del distacco fu la Polonia che lasciò l’Unione Sovietica nell’aprile del 1989 e che subito dopo, nel giugno di quell’anno, indisse le prime elezioni.
L’esempio della Polonia fu seguito a ruota dall’Ungheria la quale, oltre a pianificare le elezioni per il 1990, decise di rimuovere le barriere di frontiera a confine con l’Austria, creando una breccia insanabile nella cortina di ferro.
I cittadini della DDR non attesero un minuto e ne approfittarono subito per raggiungere in massa la Germania dell’ovest, sfruttando il corridoio tra Ungheria e Austria. L’esodo fu accompagnato da proteste di massa in tutta la Germania dell’est, tanto da spingere Gorbačëv ad avviare un processo di liberalizzazione, cui seguì la concessione di visti d’uscita e permessi di espatrio, fino a quel momento categoricamente negati.
E il 9 novembre anche Berlino fu pronta a fare il proprio balzo nel futuro
Quella sera di 34 anni fa un portavoce del governo tedesco orientale annunciò il ripristino dei collegamenti tra le due metà della città. Non appena si diffuse la notizia, i berlinesi si riunirono presso i varchi e qualcuno cominciò la vera e propria opera di smantellamento del muro in calcestruzzo, immagini che noi tutti abbiamo impresse nella mente.
L’abbattimento definitivo del muro, a esclusione di alcuni brevi tratti, fu portato a termine nel 1994.
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