Nel 1995, il Premio Satira Politica di Forte dei Marmi allestì un esilarante pubblico processo alla satira in via d’ estinzione. In platea c’ era accovacciato il Mario Cardinali, piccolo e aguzzo, un Longanesi più in carne; e scuoteva il testone. Era, il Cardinali, dalla fondazione nel ’61, il direttore – Richelieu del Vernacoliere. E, lì, ci dava convintamente dei bischeri con quel sorriso al filo di rasoio che solo i livornesi sanno manovrare.
Finì che noi – giornalisti, scrittori, impresari – tutti pubblici accusatori, soggiogati dalla forza d’ urto delle battute e delle vignette, fummo costretti ad ammettere che la satira, finché ci fosse stato il potere, mai sarebbe defunta. Dopo 25 anni tutti i giornali satirici di allora – Boxer, L’ Eco della Carogna, il Nuovo Male, gli ultimi brandelli di Cuore – sono scomparsi. Era rimasto solo Il Vernacoliere del Cardinali. Il quale, con un mensile bombarolo nato a Livorno e a diffusione toscana, riusciva sempre a fare il contropelo ai Palazzi.
Ora anche l’ ultimo fogliaccio, l’ estremo baluardo di libertà, rischia la chiusura. «Cari lettori, cari amici, il Vernacoliere sta sempre più lottando per la sua sopravvivenza», scrive il Mario che non ho mai sentito così triste. «Un po’ la crisi economica generale, un po’ la crisi particolare dell’ editoria cartacea, un po’ infine il Covid, fatto è che le edicole sono sempre meno frequentate e sempre più sbarrate. E il Vernacoliere, da sempre libero da sussidi e finanziamenti per amor di libertà, spoglio anche di pubblicità per precisa scelta editoriale da quasi quarant’ anni, vive e sopravvive di sole vendite in edicola e per abbonamento».
L’APPELLO
Sicché la soluzione è una sola: quella che, dal Manifesto in su, adottano tutti i giornali di qualità con lettori militanti: «Cinquemila nuovi abbonati per garantirci una base economica che ci permetta di mantenere ancora in vita la nostra testata, dopo sessant’ anni di esistenza, dai tempi del Livornocronaca nato settimanale di controinformazione nel 1961 e poi divenuto il Vernacoliere mensile satirico nel 1982.
«Abbonamenti all’ edizione cartacea, precisiamo, poiché la pirateria informatica con la produzione gratuita dei nostri pdf ci ha costretto a chiudere gli abbonamenti on line». Cinquemila abbonati o si chiude. Sicché il Mario fa la sua preghierina ai lettori che con lui quotidianamente si congratulano sul profilo Facebook (gratuito) della rivista. «Frugatevi – come si dice a Livorno – contribuendo, con i 27 euro d’ un abbonamento annuale, alla nostra libertà di contribuire anche alla libertà vostra. Libertà di satiricamente ridere».
Ora, perché la satira in Italia è sul punto di defungere (resiste solo quella televisiva, Crozza e pochi altri)? «Be’ questo fatto che le cazzate le dicono più i politici che noi satirici, ha depotenziato la satira stessa», cerca di spiegare il Mario. «Faccia causa a Grillo per i soldi persi in questi anni» è il consiglio che dà Sergio Staino, che motiva così: «La cattiveria da lui portata in politica sta uccidendo la satira: in un clima in cui si impara solo a inveire e non a sorridere con intelligenza, un giornale che fa di questo la sua ragione di esistere non può vivere». Ed è senz’ altro un rispettabile punto di vista. Ma forse sono anche gli italiani che non riescono più a ridere.
Un po’ la politica spettrale, ma soprattutto il virus hanno attutito le nostre coscienze; e le hanno assuefatte al senso del ridicolo. Il Vernacoliere è il dito nell’ occhio al conformismo, ma così perde efficacia. Resta micidiale per le sue locandine in dialetto, che da sempre si stagliano nelle edicole delle stazioni. Locandine grevi quanto geniali. Solo negli ultimi mesi ce ne sono state: sul lockdown, «Un grido nel Paese: Conte lasciaci trombà. Chiudere tutto ma le gambe no»; sulla pandemia: «Moglie contagia tre ganzi, e loro contagiano le ‘su mogli, che su’ vorta contagiavano nove ganzi.
A rischio un fottio di becchi»; su Italia Viva, «L’ urlo di Renzi: hanno trombato anche la Boschi. “Beati loro’ ha commentato Zingaretti. Matteo l’ ha presa male e s’ è scisso dal Pd»; sulla crisi economica, «Sbrocco licenziamenti. Ir governo promette due culi all’ operai così ce lo pigliano meglio». È la forza delle pasquinate mixata alla furia iconoclasta della comicità toscana.
Ma del Vernacoliere fantasiosissimi erano anche i refrain. La “topa”, per esempio. Il culto goliardico del sesso femminile era per il Cardinali e soci una categoria kantiana, così come “i pisani”, emblema della stupidità umana come lo sono i belgi per i francesi. E se scorrete i titoli dei libri tratti dalle loro performance rimanete abbagliati: Ambrogio ha trombato la contessa, Politicanti, politiconi e altrettante rotture di coglioni (Ponte alle Grazie), L’ Italia del Vernacoliere. È tutta un’ altra storia e I comandamenti del Vernacoliere. Trombare meno, trombare tutti (Piemme), e Quando a Rambo ni ciondolava l’ uccello, Berlusconi cià rotto i coglioni e Era meglio un Papa pisano (Mario Cardinali Editore). Ogni titolo è un morso, una stilettata nella carne di qualsiasi potere. Se muore anche Il Vernacoliere morirà il nostro ultimo sorriso.
Francesco Specchia per “Libero quotidiano”
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