All’indomani dell’esclusione della radiottività fra le possibili cause della morte di Imane Fadil, l’avvocato della famiglia ha fatto sapere che rinuncia al mandato per «dissidi» sulla linea difensiva. «Non condividono la mia linea, in questo momento io credo che non ci siano i presupposti per sostenere una caccia alle streghe», ha spiegato Paolo Sevesi, che è stato anche il legale di fiducia della giovane marocchina durante i processi Ruby, nei quali Imane era testimone.
L’ipotesi della morte per malattia si rafforza
Ieri, dopo la notizia dell’esito negativo degli esami sulla presenza di sostanze radioattive nel corpo di Imane Fadil, l’avvocato aveva detto che era «meglio per tutti, per Imane e per la sua famiglia». «Alla fine vuol dire che in giro c’è un cattivo in meno», era stato il commento di Sevesi, che non sarebbe stato gradito alla famiglia. Si attende ora l’autopsia, che è prevista per i prossimi giorni e dalla quale ci si aspetta una risposta sulle ipotesi rimaste in campo: quella dell’avvelenamento da metalli, formulata all’inizio e poi sgonfiata dai primi esami, e quella di una malattia autoimmune, che i medici della Humanitas non sarebbero riusciti a diagnosticare e che ora viene presa in maggiore conto.
L’avvocato invita alla prudenza
Il difensore di Imane ha sempre invitato alla prudenza rispetto all’ipotesi di un decesso per avvelenamento da metalli, «visto che – ha sottolineato – Imane non mi ha mai detto che sospettava di qualcuno, lei mi diceva tutto». «Quello che so è che già l’11 gennaio mi ha mandato un messaggio per dirmi che non stava bene e anche il 14, nell’ultima udienza, mi ha detto lo stesso», ha concluso Sevesi, smentendo le notizie che lo davano come uno dei soggetti, insieme alla famiglia e ai medici, cui la ragazza, durante la sua agonia in ospedale, avrebbe rivelato il sospetto di essere stata avvelenata.