Immigrazione – È finita senza sorprese, così come si era già immaginato nello scorso mese di novembre: il memorandum con la Libia verrà rinnovato, il 2 febbraio prossimo scatterà l’automatismo per altri tre anni così come previsto dall’accordo del 2017, le tanto decantate modifiche chieste dal governo italiano non hanno avuto luogo. Ma, in realtà, mai nessuno ha realmente pensato di attuarle. Credere realmente che a Tripoli si potevano mettere sul piatto dei cambiamenti del memorandum, mentre nella capitale libica infuria la battaglia ed il governo di Al Sarraj guarda sempre più alla Turchia, ha rappresentato soltanto operazione di retorica. Peraltro facilmente svelata.
Eppure ad ottobre, quando si avvicinava un primo tacito rinnovo automatico del memorandum, il governo italiano ha ufficialmente promosso la costituzione di una commissione italo – libica per apporre “miglioramenti”. In quel mese, con l’esecutivo giallorosso insediato da appena 30 giorni o poco più, ha suscitato scalpore il reportage del giornalista di Avvenire Nello Scavo, il quale ha svelato come il presunto trafficante Bija è stato ospite nel 2017 al Cara di Mineo come inviato libico. E dunque, di fatto, l’Italia ha trattato con una persona ritenuta da più parti, anche da alcune inchieste Onu, una delle più pericolose tra chi gestisce la tratta migratoria. Da allora, sono aumentate le pressioni affinché Roma potesse esercitare su Tripoli pressioni volte ad una maggiore trasparenza del governo libico in materia, specie perché Bija ufficialmente è ancora in servizio presso la Guardia Costiera di Zawiya.
Non solo: tale dibattito è emerso anche perché una parte della nuova maggioranza giallorossa, specialmente quella legata alla sinistra del Pd, già dai tempi dell’operato dell’ex ministro Marco Minniti ha fortemente criticato ogni accordo con i libici. Il presidente del consiglio Giuseppe Conte ha dunque provato a mediare: impossibile abbandonare il memorandum, visto che questa circostanza avrebbe creato uno strappo con Al Sarraj, dunque si è scelta la via del rinnovo con le modifiche da proporre entro febbraio. Una strada che si è rivelata un bluff. Perché già allora si sapeva che con i libici era impossibile creare un dialogo politico sul tema. Nelle scorse ore le dichiarazioni del ministro dell’interno Luciana Lamorgese, rese nel corso di un suo intervento a Firenze, non hanno lasciato spazio a dubbi: “La nostra parte l’abbiamo fatta”, ha affermato il titolare del Viminale. Una frase che, a pochi giorni dal rinnovo automatico del memorandum, sembra far presagire l’esposizione della bandiera bianca da parte del ministero dell’interno.
Ed alcune fonti del Viminale alla giornalista di Repubblica Alessandra Ziniti, hanno confermato tale impressione: “Con Tripoli è diventato difficile interloquire, trovare funzionari del governo che si siedano a un tavolo – si legge nelle dichiarazioni attribuite a funzionari del ministero – E il fatto è che i centri di detenzione in Libia non sono stati svuotati, l’Onu ha appena pubblicato un nuovo report sui luoghi di tortura, la guardia costiera appare e scompare a suo piacimento”. Tuttavia, risulta impossibile pensare che dalle parti del Viminale, della Farnesina e di Palazzo Chigi non sapessero che sarebbe finita così. Ben si conosce (almeno si spera) la situazione a Tripoli: il locale governo non ha il controllo del territorio ed ha affidato a milizie e gruppi di ogni tipo ogni servizio di sicurezza, compreso quello relativo alla Guardia Costiera. Ci poteva mai essere speranza di sedersi al tavolo e parlare di “diritti umani” e rispetto dei migranti in un contesto del genere? Per davvero il governo italiano pensava di risolvere in 3 mesi quello che in Libia non si è riusciti a risolvere da quando è iniziato il conflitto?
Dunque, si va verso il finale già immaginato nella mente dello stesso Giuseppe Conte e della stessa Lamorgese: un rinnovo tacito, automatico e senza alcuna modifica del memorandum. Del resto, l’esecutivo non ha molta scelta: è bastato accennare alle possibilità di modifiche dell’accordo per far virare, proprio a fine novembre, Al Sarraj nelle braccia di Erdogan con il quale ha concluso un altro memorandum. Figurarsi cosa poteva accadere quindi se, da Roma, arrivava la notizia della fine del trattato. E l’Italia, in questo momento, non può permettersi la perdita di altro terreno in Libia, specie in quel di Tripoli.
Occorre invece capire cosa potrebbe accadere all’interno del governo Conte II. Quel bluff sulle proposte di modifica da attuare al memorandum, è servito solo per tener buona la maggioranza alla vigilia della sessione di bilancio in parlamento. Alla sinistra del Pd ed a LeU, si è dato il “contentino” relativo alla promessa di un dialogo impossibile con i libici. Oggi che anche ufficialmente l’impossibile è venuto a galla, all’interno della maggioranza si parlerà ancora di diritti umani e di attenzione verso i migranti in Libia oppure si proverà a far tacere tutto? Possibile che, da qui al prossimo 2 febbraio, emergano malumori e levate di scudi in seno alla coalizione giallorossa. Tuttavia, non è da escludere che in nome della stabilità al governo improvvisamente la situazione umanitaria in Libia possa diventare di secondo piano anche per chi, negli ultimi anni, ha tuonato contro ogni scelta arrivata da Roma.
L’unica certezza, per l’appunto, è che il memorandum verrà rinnovato e che, volenti o nolenti, l’Italia riconoscerà come al momento in Libia non ha un potere tale da potersi permettere di non considerare come interlocutori milizie e gruppi la cui ambiguità è ben nota a tutti.
Mauro Indelicato per www.ilgiornale.it