Ma ve lo immaginate Pinocchio che dice “Papà, papino caro, papino mio” invece come esclama più volte, nella favola che il mondo intero conosce, “babbo, babbino caro, babbino mio”?
Onestamente no. Perché ogni buon toscano, come lo era Carlo Lorenzini in arte Collodi, non si sarebbe mai sognato di far pronunciare al suo Pinocchio un francesismo.
Infatti la parola papà, come chiarisce l’Accademia della crusca, è un francesismo, che iniziò a diffondersi nel veneziano già nel 18esimo secolo. Mentre babbo è una parola autoctona, assolutamente italiana.
Entrambe derivano da due forme tipiche del primissimo linguaggio infantile costituite dalla ripetizione di una sillaba, i suoni più facili da produrre per i bambini.
L’italiano moderno accetta tutti e due i termini, ma nei secoli passati nessuna edizione del vocabolario italiano registrava la parola papà. Addirittura nel “Lessico dell’infima e corrotta italianità”, redatto nel 1877 da Piero Fanfani e Costantino Arlia, il termine papà veniva criticato e additato come: “una voce francese ricevuta in cambio della più cara ed affettuosa babbo”.
Insomma ancora oggi i puristi ritengono che per indicare il padre la forma più corretta sia babbo, pur essendo una voce onomatopeica infantile.
Ma, ahimè, la parola babbo è in realtà divenuta una sorta di regionalismo diffuso soprattutto in Toscana, ma anche in Emilia Romagna, in Umbria, nelle Marche ed in alcune zone della Sardegna e del Lazio.
Addirittura in alcune zone del meridione è sinonimo di stupido. Ma se quando poi arriva Natale tutta Italia preferisce l’espressione Babbo, per indicare colui che porta i doni, un motivo ci sarà.
Comunque sia oggi si festeggiano i babbi qui in Toscana e i papà nel resto del paese. Quindi auguri a tutti, e ricordate che “ogni uomo può essere padre, ma ci vuole una persona speciale per essere un babbo/papà”.
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