Nell’ottobre scorso una infermiera è stata sospesa dalla Asl. Il perché è immaginabile. Si era rifiutata di vaccinarsi; così come previsto per la categoria.
Il giudice del lavoro di Velletri, come riporta Ansa, con un decreto cautelare del 22 novembre scorso, ha disposto per lei, dipendente della Asl Roma 6, la riammissione al lavoro.
Nel provvedimento il giudice Giulio Cruciani “ordina alla Asl l’immediata ricollocazione della ricorrente presso la Centrale Sats di Marino (centro in provincia di Roma) e l’erogazione dello stipendio”.
I diritti compromessi dell’infermiera
Nel documento il giudice fa riferimento alla “rilevanza costituzionale dei diritti compromessi (dignità personale, dignità professionale, ruolo alimentare dello stipendio)”; aggiungendo “che la sospensione dal lavoro può costituire solo l’extrema ratio e evento eccezionale in una azienda medio grande”.
“Il tribunale con questa ordinanza riafferma con chiarezza il diritto al lavoro a fronte di una sospensione che non può fare riferimento al diritto alla salute – afferma l’avvocato David Torriero, difensore della donna -; se sono state proprio le decisioni del Governo a stabilire che lo stesso è garantito attraverso il ricorso ai tamponi ogni 48 ore”.
Una decisione, finalmente, che mette in primo piano i diritti fondamentali dei cittadini. Il tampone deve rimanere un’alternativa reale. La dittatura sanitaria è già una realtà in stato di avanzato; non può diventare un potere assoluto che schiaccia ogni forma di dissenso o di dubbio.
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