Insopportabile Resilienza, virtù dei vili

Dai Media al PNRR tutto indulge alla retorica moda di una Repubblica fondata sulla Fantozziana Resilienza

Resilienza

Personalmente ritengo la parola resilienza inascoltabile. E sono in buona compagnia.

Vittorio Sgarbi ne è parimenti convinto.

Mario Draghi nel suo  PNRR, piano nazionale di ripresa e Resilienza, per l’appunto, ne ha fatto un moloch.

Di spesa dei soldi del Recovery che dovremo in buona parte restituire a costo di lacrime e sangue.

Ma adesso è il momento di spenderli quei soldi, e lei, la Resilienza, ci indica la via.

Peraltro è solo il caso di notare come Ripresa e Resilienza, citati nel Piano Nazionale siano insieme ma in realtà una in antitesi rispetto all’altra.

La Ripresa postula dinamicità, impeto e spinta, la Resilienza, poverina, sta lì, resiste con tutte le sue forze nella sua imbelle staticità.

Ma, insomma, cos’è ‘sta benedetta, o maledetta, Resilienza?

Un marchio di fabbrica

Già oggetto di tatuaggio di milioni di individui, numerosi come chi si è fatto imprimere il segno dell’infinito sulla pelle, la parola resilienza è già di per sé cacofonica e sgraziata.

Se ne riempiono la bocca gli anglofoni nell’ultimo decennio, ma è il suo concetto ancora più terribile. E temibile.

Viene rivenduta come la capacità di fare fronte in maniera positiva ad eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità.

Deriva come traslato dalla capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi.

È la virtù delle canne che si piegano al vento, assecondandolo e rimanendo in piedi.

Buona per tutte le stagioni, andrà tutto bene.

Di fatto è un “mi piego ma non mi spezzo“.

Un’umile sopportazione silenziosa e rassegnata, pronta e prona a subire. La traduzione nei fatti del Fantozziano ‘come è umano lei’.

L’apoteosi del tiramo a campa’.

Una prerogativa tutta italiota

Praticamente la resilienza è l’archetipo del tengo famiglia.

Mi adeguo alle situazioni senza prendere posizione, mi faccio dominare docilmente in attesa di tempi migliori che in definitiva non arriveranno mai, e intanto sopravvivo.

Una sorta di viltà elevata a sistema: un camuffarsi e piegarsi per campare.

O Francia o Spagna purché se magna, recitavano nel Regno di Napoli; transizione ecologica o digitale, mascherine ed autocertificazione purché si possa uscire di casa, umile piegarsi di fronte al potere ed alla forza maggiore.

Un concetto inviso ed insopportabile per chi ha fatto e fa della coerenza uno stile di vita, a costo di essere sradicato e sconfitto.

Persino gli intello‘ della sinistra de noartri, che tanto si riempiono la bocca della Resistenza, concetto del tutto opposto, non riescono ad esimersi dalla moda e ne fanno un largo uso.

Un concetto molto attuale, come il trasformismo, che i veri coerenti non concepiranno mai.

 

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