Problema: come realizzare un’intervista sulle problematiche dell’organo sessuale femminile con Paolo Mezzana – ospite di giornali e trasmissioni tv, dottore in chirurgia plastica e ricostruttiva, specializzato in ginecologia estetica e funzionale – senza scadere nel pecoreccio, sia pure involontario?
Soluzione: ispirandosi più a Piero Angela che a Rocco Siffredi, e scegliendo con cura termini e immagini (per un ripasso ironico rimando allo strepitoso intervento di Roberto Benigni nel Fantastico 1991, show del sabato sera di Rai 1, quando davanti a una Raffaella Carrà in ambasce si scatenò nella declinazione delle varie definizioni del sesso femminile e maschile, da “patonza” a “sventrapapere”).
Mezzana ha scritto un libro, I dialoghi della vagina, dieci capitoli per le storie di altrettante donne, da contrapporre ai Monologhi della vagina, portati in scena a New York nel 1996 da Eve Ensler, che li ricavò da racconti e pensieri sulla propria vagina provenienti da oltre duecento donne (il successo da allora è stato globale: migliaia di rappresentazioni in tutto il mondo, premi internazionali, una versione per la tv prodotta da Hbo, il canale nell’orbita Warner che fattura 2 miliardi di dollari l’anno). Mezzana presenta il suo lavoro oggi a Roma, intervistato dal conduttore Rai Alberto Matano.
Spera di ottenere anche lei un riscontro planetario?
«No, mi auguro piuttosto di portare l’ attenzione delle donne, e dei partner (uomini o donne, non c’è differenza) che a loro si accompagnano, su alcune patologie che possono rendere faticosa, complicata e dolorosa la propria sessualità».
Però per quale motivo parafrasare quel celeberrimo titolo?
«Per segnare una cesura. I monologhi erano quelli di donne (ovvero: delle loro vagine, termine su cui è poi necessaria una precisazione) che urlavano il proprio malessere, con una specie di manifesto slogan veterofemminista».
Tipo: «L’utero è mio e me lo gestisco io»?
«Esatto. Qui invece abbiamo il dialogo, ovvero: il confronto. Delle donne con il proprio sesso, in modo da poter poi affrontare al meglio la relazione con il partner».
Oltre a essere una raccolta di storie di fantasia, è quindi anche una sorta di «manuale di servizio»?
«Sì. Le trame nascono dalle confessioni che ho raccolto in tanti anni di professione, mi sono sforzato di romanzarle curandone però, da neofita, la scrittura e la forma».
Se Alberto Moravia ha scritto Io e lui sui rapporti con il proprio organo, il suo libro vuole mettere a fuoco la dialettica tra «lei e lei». Quell’oscuro oggetto del desiderio.
«Senza compiacimenti voyeuristici. Le donne devono imparare a parlare innanzitutto con se stesse, a conoscersi meglio. Il mio è un viaggio nell’intimità femminile, la sua parte più segreta, che poi è quella da cui si genera la vita».
L’ origine del mondo, come da imperituro dipinto di Gustave Courbet. Che puntualizzazione voleva fare?
«Terminologica: vagina si usa per indicare tout court l’organo genitale femminile».
Una sineddoche: la parte per il tutto.
«In realtà tecnicamente quella parola riguarda l’interno. L’esterno si chiama vulva».
Grazie della precisazione. Quali sono i disturbi più frequenti che portano una donna a voler farsi aiutare chirurgicamente?
«Distinguiamo subito: ci sono problemi fisici e disagi psichici. La prima cosa che un medico deve fare è capire qual è la molla che spinge una donna a formulare una richiesta di soccorso. L’approccio deve essere olistico, di ascolto. Se l’istruttoria si chiude nel segno della necessità di un intervento, si procede».
Qualche numero?
«Ufficialmente nel 2018 sono state certificate 7.200 operazioni, numero largamente sottostimato perché non tutti i medici fanno parte dell’Aigef, l’associazione italiana di ginecologia estetica e funzionale, a sua volta parte dell’Esag, l’omologa a livello europeo. Il ritmo di crescita è comunque del 20% annuo».
Vogliamo citare qualche patologia?
«Rifacendomi ai capitoli del mio libro, abbiamo donne sofferenti di vulvodinia, 15 su 100 secondo le statistiche, che lamentano un “bruciore insopportabile”, tipo spilli, che si ha quando c’ è una proliferazione dei terminali nervosi, la sensibilità aumenta a tal punto da trasformarsi in dolore perfino nell’infilarsi i pantaloni, e quindi prescindendo da contatti fisici sessuali.
Ci sono poi pazienti afflitte da dispareunia: patiscono una reale, quasi insopportabile, difficoltà all’ accoppiamento, che può subentrare per esempio in menopausa per un fisiologico restringimento. Donne che presentano condilomi causa infezione da Hpv, il papillomavirus (che nelle tipologie “ad alto rischio” sono potenziali fattori di insorgenza del cancro, discorso che riguarda anche gli uomini, motivo per cui sarebbe il caso di vaccinarsi). E poi le vittime di infibulazione, una vera e propria mutilazione genitale a livello esterno, con l’asportazione di parti e ricucitura della vulva».
Una pratica abominevole, legata più a fattori culturali o religiosi?
«Entrambi, aggiungendo quelli geografici. Parliamo di alcune regioni dell’ Africa, della penisola araba, del Sud Est asiatico. E se sicuramente avviene in Paesi che sono in tutto o in parte di religione musulmana, va detto che per esempio in Niger è stato rilevato come anche una donna cristiana su due sia infibulata. La tradizione è più forte della fede. Il tutto per mantenere la purezza, l’illibatezza della donna».
La verginità come valore.
«Che è presente ancora anche nel nostro Paese. Vada a Orgosolo, in Sardegna, dove si venera Antonia Mesina, una Maria Goretti della Barbagia, assassinata da un suo compaesano nel 1935 a colpi di pietra. Anche per questo un intervento molto richiesto è quello dell’ imenoplastica, il rifacimento della membrana. Per ovviare preventivamente al problema, in Cina e in Giappone si sono inventati un rimedio meraviglioso».
In che senso preventivamente?
«Per rimanere vergini, e quindi non dover poi appellarsi al chirurgo per il ripristino dell’illibatezza, utilizzano un sacchettino interno che si rompe durante il rapporto, rilasciando un liquido rosso che simula…».
Ok, dottore, ho capito. Altra patologia ricorrente?
«Il transessualismo, che non è banalmente solo un fenomeno di costume. Parliamo di soggetti che vivono l’indicibile tormento di sentirsi donne intrappolate in corpo maschile. Io ho raccolto confessioni di persone che vorrebbero attenzioni da parte di uomini eterosessuali perché loro si considerano femmine a tutti gli effetti».
E invece?
«Personalmente ritengo che un uomo che frequenta trans come minimo sia bisessuale. Ponendosi quasi sempre in modalità “passiva”».
Per capirci: non saremmo in presenza di donne con un pene, bensì di uomini con il seno?
«Per capirci, diciamo così».
Gli interventi chirurgici che lei pratica sono molto invasivi, a colpi di bisturi?
«Per carità, il minimo indispensabile. Parliamo piuttosto di laserterapia, ozonoterapia, tossine botuliniche, acido ialuronico, anidride carbonica, sedute di radiofrequenza e infiltrazioni, trattamenti mirati su aree molto circoscritte».
Fin qui abbiamo parlato di tematiche funzionali. In cosa consiste invece la chirurgia intima “estetica”?
«Molte donne ritengono che il proprio organo presenti delle malformazioni, per esempio circa le dimensioni delle pieghe cutanee dette “labbra”, grandi e piccole, oppure abbia un aspetto pregiudizievole».
Cioè?
«Il colore. Con l’ andare dell’età c’ è una crescita della melatonina lì localizzata, la pelle da rosa diventa marrone, e quindi si chiede al medico di correggere il difetto con uno “sbiancamento”».
Ah, come quando Giorgio Forattini disegnò un Massimo D’ Alema che «sbianchettava» la lista Mitrokhin.
«Ma sa qual’è il problema quanto a misure e cromatismi? Il consumo di materiale a luci rosse».
Perché anche le donne guardano video porno e si fanno suggestionare dalle attrici hard?
«Che sono tutte giovani, hanno il basso ventre modellato, di color rosa pesca, e naturalmente totalmente depilato. Il che è uno sbaglio: la cosiddetta depilazione alla brasiliana, con la rimozione totale dei peli pubici, è un fattore sfavorevole perché elimina una prima, fondamentale barriera per preservare l’igiene e la salute intima».
Abbandoniamo l’altra metà del cielo e passiamo ai maschietti. La difficoltà a parlare e affrontare le proprie disfunzioni credo riguardi anche noi.
«Scherza? Gli uomini si preoccupano e si rivolgono allo specialista molto più delle donne. Il viagra e gli altri prodotti simili hanno risolto il problema “erettile” da un punto di vista farmacologico (cui si affiancano gli strumenti meccanici: le protesi e le “pompette”) ma ci sono poi le questioni morfologiche, vedi: l’ incurvamento, che impongono un’ operazione di falloplastica. Senza dimenticare l’ossessione delle dimensioni, per cui la richiesta è di un allungamento e/o ingrossamento, ottenibile con il silicone».
Come labbra e seni? Interessante. Immagino però non sia sempre e solo un problema psicologico…
«No: ci sono casi di ipotrofia peniena conclamata, definiamolo un sottodimensionamento evidente, ma al tempo stesso ci sono “fissazioni” sulle misure che nascono, anche qui, dall’ abbuffata di porno online».
Se vedi performance che durano ore, con virilità “ragguardevoli”, e poi fai il confronto con te stesso…
«Il rischio di deprimersi è alto (ride). Ma basterebbe riflettere su quanto c’è di artefatto, chimico, finto in quelle prestazioni, per trovare più di un motivo di consolazione. Sa come si dice, volendo concludere con una battuta?».
Parlo per me: «Mal comune, mezzo gaudio»?
«Preferisco la metafora sportiva: “L’importante è partecipare”».
Antonello Piroso per “La Verità”