Provocatoria o meno, atto di marketing o educazione al bere, l’etichetta dell’azienda vinicola Rocca di Montegrossi di Gaiole in Chianti (Siena) ha fatto un gran parlare di sè. Tanto che il quotidiano La Nazione ha addirittura lanciato un sondaggio pro/contro l’inzuppo, dove al momento sono in testa i favorevoli.
Partiamo dal principio: l’azienda Rocca di Montegrossi, produttrice di Chianti Classico nonchè di Vin Santo ottenuto da uve di Malvasia bianca, ha apposto sulle etichette del suo prodotto un simbolo inequivocabile: una lente di ingrandimento che mostra un bicchiere ed un biscotto pronto all’inzuppo, il tutto sormontato dal divieto. L’etichetta è diventata virale con un post su Facebook tradotto anche in inglese: “Do not dunk #biscotti in our Vin Santo!” ovvero “Non inzuppare i biscotti nel nostro Vin Santo!“. Uscita che in un attimo ha dato il via ad un lungo dibattito che ha coinvolto anche esperti di vino e gastronomia, da tempo schierati per il “no” all’inzuppo.
Dietro alla tradizione popolare – ed a un gesto che a noi Toscani suonerebbe subito come “casa”, con tanto di lacrimuccia che scende sui dolci ricordi di nonni, solai, cantine e caratelli -, c’è però una evidenza scientifica, che chiunque si occupi di gastronomia non può ignorare.
Inzuppare un biscotto nel vino – qualunque esso sia – altera in qualche modo il vino stesso: ne compromette il bouquet aromatico ed il gusto, oltre ad impregnare di liquido un biscotto la cui cifra di bontà è data proprio dalla peculiarissima consistenza. “Ma i Cantuccini son duri!“, si potrebbe obiettare. Punite il pasticcere, mica il povero vino in cui finiranno annegati! Tanto più se il vino in questione è Vin Santo, la cui produzione segue regole rigorose che ne determinano profumi intensi, complessi e sfumature sottili da cogliere con la dovuta concentrazione. Un vino da meditazione prezioso quanto il nome che porta, perfetto si per accompagnare la dolce, secca pasticceria toscana (a patto di non far del bicchiere una piscina!) ma adatto anche a formaggi erborinati, foie gras alla francese o fegato più asciutto alla toscana, dai crostini ‘neri’ in poi.
Tuttavia se da un lato i puristi non hanno mai tollerato questa pratica, dall’altra c’è la forza di una consuetudine radicata nella cultura popolare: inzuppare i Cantuccini nel Vin Santo è un atto che caratterizza la Toscana nell’immaginario italiano ed estero, una sorta di ‘dichiarazione universale di toscanità’ che toccare – a sentir qualcuno – sarebbe pari al proporre la Fiorentina col Cappuccio o vietare la scarpetta col sugo rimasto nel piatto. Inutile ribattere che il Vin Santo nasce con un’anima più-secca-che-dolce, che il biscotto alla mandorla stronca sul nascere. Vano anche il tentativo di celebrare l’identità di un biscotto che fa della croccantezza un punto cardine del proprio Disciplinare di produzione (nonchè della sua bontà). É un po’ come la pizza con la birra: inutile suggerire d’evitare l’accoppiamento dei lieviti. Quando una cosa s’è imposta, non la cambi più.
E comunque gli esperti stiano accorti: v’è anche chi all’inzuppo nel Vin Santo, ha sempre preferito quello nel vin rosso!