L’estate volge al termine: dopo un mese in giro per l’Europa ed i suoi musei, in una giornata ancora torrida di fine agosto, da Fiorentino ormai con metà secolo sul groppone, decido di fare il turista anche nella mia città e le sue bellezze artistiche.
Reggerà il confronto con Louvre e Prado? Ovviamente non parlo dei tesori ineguagliabili che custodiamo, ma dello stato della città.
Le regole autoimposte sono ferree: dovrò bere per intero l’amaro calice, niente auto o scooter, o appoggi logistici da amici e parenti, tutto a piedi ed in strada per almeno dieci ore.
In giro dalla mattina, tramvia dall’aeroporto, abbigliamento da turista nordico, accento svedese e nessun trucco da autoctono. Tornerò da estraneo nel centro città dove ho frequentato Liceo ed Università, e da cui, ormai, da salotto buono di in tempo, di fatto i Fiorentini sono stati sfrattati a colpi di Ztl.
La Tramvia all’aeroporto
Di buon mattino mi reco all’aeroporto, le cose o si fanno per bene o non si fanno: avevo pensato di munirmi anche di bagaglio ma il mio masochismo non è ancora giunto a tali livelli. Viaggerò leggero. Devo prima munirmi di biglietto della tramvia, però, ed alla fermata San Donato cerco di capire come funziona il totem distributore: distribuisce biglietti cartacei singoli da obliterare (adoro il suono vintage della macchinetta stile Ataf anni ’80), ma mi avverte che il resto per i contanti non è disponibile. Quindi mi fa un buono (Nonna che vor’di’, direbbe Verdone). Mah. Non sarebbe meglio dare un codice a credito spendibile per ulteriori biglietti, o emettere una card ricaricabile come nel resto d’Europa? Ma tant’è. Ritiro i biglietti cartacei e aspetto.
Salgo per la prima (e penultima) volta su questa meraviglia ferrata: mi accoglie con sedili già consunti ed un terminale per i biglietti virtuali, fuori servizio. Un buon inizio, non c’è che dire.
Si parte: mi preparo alla corsa.. corsa, non esageriamo: circa 50 km/h dice il navigatore. Tutto qui? Questa sarebbe la rivoluzione della mobilità gigliata?! Dopo un mese in giro nelle metropolitane delle capitali europee, mi tocca questa. Vabbè. Tra sferragliamenti vari in curva, la stazione sotterranea di Viale Guidoni (a Firenze si interra in periferia e si viaggia in superficie in città) arrivo all’aeroporto, dove salgono i primi turisti muniti di valigioni. Dietrofront, si riparte, e venti minuti dopo sono in piazza dell’Unità.
Accendo il navigatore per fingere di non sapere come arrivare agli Uffizi, che mi fa passare per piazza Santa Maria Novella, animata da troppi tavolini e da macchinine elettriche stile tuk tuk, che cercano di catturare la mia attenzione. Poi stradine interne, simpatiche cartacce e profumini vari, sarà mica urina, questa? Mah. Sono le nove ma il centro è già gremito, alla Loggia dei Lanzi si passa a malapena. Mi fermo un attimo ad ammirare il Perseo del Cellini, e chiedermi, ancora una volta, perché non l’abbiano sostituto con una copia come il suo dirimpettaio michelangiolesco.
Passo dal Porcellino, giusto per controllare che chi chiede l’elemosina sia presente. Sono già montati di servizio, meno male, stavo in pensiero.
Tappa 1: Uffizi
Ho comprato online i biglietti prioritari: i prezzi tutto sommato sono adeguati ai tesori che mi attendono, ed in linea con il resto dei musei principali europei.
Chiedo in inglese alla cortesissima signorina all’ufficio informazioni (posto in un gabbiotto nel cantiere eterno degli Uffizi) che mi indirizza ad uno sportello poco più in là a cambiare il voucher con il biglietto. Mi accorgerò, dopo, che questa operazione è inutile, perché vedo chi entra anche solo con la prenotazione.
C’è una fila già di decine di metri sotto il porticato, ma io ho il biglietto orario e prioritario, sicuramente ci sarà una fila separata, mi dico.
No. Praticamente le file sono quelle, gli addetti, con semplici cartelli plastificati, via via cambiano gli orari man mano che una fila entra, e si aspetta lì. Siamo tutti prioritari a questo mondo, evidentemente. Vabbè.
Non un bel biglietto da visita, onestamente. Colgo commenti stupiti e sarcastici di alcuni tedeschi in coda, e con un minimo ritardo entriamo, controllo al metal detector e poi dentro.
Nel museo, bellissimo ma non sta a me dirlo, domina la maleducazione dei turisti di oggi: bolgia, cellulari, gente che si accalca, suda e corre perché probabilmente in tre quarti d’ora deve vedere tutto. Tutto cosa non lo sanno nemmeno loro, sicuramente, basta un bel selfie con la Venere del Botticelli da postare sui social e sono felici così. Tutti armati di device per vedere attraverso uno schermo ciò che dovrebbe invece riempire gli occhi, e scattare foto che non vedranno mai. Tanto valeva guardare le foto su Internet.
Guardate con i vostri occhi, quando mai vi ricapiterà, ma tant’è. Contenti loro.
Mi preme sottolineare, in cotanto guazzabuglio, la professionalità e gentilezza dei custodi: alcuni tentano di spiegare, con passione, cosa stiamo vedendo, tutti sono sempre pronti ad aiutare e richiamare con estrema cortesia chi non capisce che quel cicalino che suona lo sta facendo scattare proprio lui, perché si avvicina troppo alle opere.
Alle 13.00 mi avvio all’ uscita, con gli occhi pieni di meraviglia, consapevole di aver avuto comunque troppo poco tempo, limitatissime foto e tanti ricordi che non fissero’ nei souvenir che l’immancabile bookstore finale mi propone. Quello c’è ormai in ogni museo del mondo, a me ricorda più l’autogrill che una biblioteca, dove devi fare tutto il giro per uscire.
E ora dove mangio?
Esco e mi ritrovo praticamente già in fila per la vera attrazione moderna fiorentina di Via de’Neri, quella che è universalmente conosciuta e ricercata . Verrebbe da dire ‘bada come la fila’, non pochi turisti, scambiando il mio aspetto nordico per uno di loro, mi chiedono se la schiacciata è lì, ed è veramente quella famosa.
Dentro di me ricordo quando in Via de’Neri ci si andava per un panino al prosciutto ed un gotto di rosso, e si mangiava pure dentro, pare una vita fa e forse lo è: più di quindici anni fa.
Ma il problema non è né la fila né la schiacciata in sé, ma la logistica: dove la mangio ora? In terra seduto sul marciapiede? Dove butto la carta e la bottiglia? Cestini nei paraggi di piazza Signoria non ce ne sono poi tanti, sono insufficienti e quei pochi sono stracolmi. E poi, ora, dove vado in bagno? C’è chi sta peggio di me, comunque: un signore con la moglie in carrozzina si muove a fatica sulla strada. Di servizi adeguati nemmeno l’ombra. Già l’ombra: questa sconosciuta. Sorrido pensando che ora si vorrebbe anche fare pagare agli extracomunitari gli accessi al Pronto soccorso. Ai turisti, extracomunitari, ovviamente, che avevate capito?
Tappa n.2: l’Accademia
Mi avvio verso l’Accademia. Sulla via, gli onnipresenti Vu’compra, prodighi di poster esposti in terra, sul selciato, richiamano l’attenzione dei passanti. So bene perché. Sto molto attento a non passare vicino alla loro preziosa merce, il giochino è accusare qualcuno di averla pestata e chiederne il prezzo.
Anche qui cartacce e sporcizia mi accompagnano, una rassicurante costante della giornata.
Passo oltre il Duomo ed ho ancora sete, fa veramente caldo, entro in uno degli innumerevoli negozi di food che hanno sostituito vecchie botteghe, artigiani e corniciai storici, e prendo una bottiglietta di thè freddo: 3,90 euro. Mah.
Passo davanti al mio vecchio liceo, il Galileo, ridotto a stizzito e sdegnato testimone di tavolini in piazza Duomo e mangificio ovunque, luna park per turisti in ciabatte e canotta.
Evito scientemente gli aranci di Via Cavour, sarebbe veramente troppo, e prendo Via de’ Servi, verso l’Accademia. Ho contravvenuto alla regola del navigatore, molto male, faccio ammenda con me stesso.
Appuntamento 13.30, sono in ritardo ma la fila è veramente spaventosa, gira su se stessa come un serpentone e si inoltra in Via degli Alfani et ultra. Sono praticamente tre file di tre orari diversi (scritti sui familiari cartelli), mescolate e fuse insieme. Anche qui voucher non cambiati, inservienti volenterosi e cortesi che, sotto la canicola, fanno veramente del loro meglio per cercare di dare un senso alle file ed all’attesa. Simpatici personaggi si insinuano nella coda brandendo biglietti, anche l’immancabile munita di piattino che chiede l’elemosina. Non manca nulla, è tutto molto pittoresco, ma non rende certo onore alla mia città. Gli stranieri sorridono felici. Va tutto bene. Per loro, forse. Per me, insomma.
Entriamo alle 14 circa, più di mezz’ora in ritardo: l’immagine non cambia, ancora tutti con i cellulari in mano a catturare immagini del David, saltando pale e museo della musica e la metafisica bellezza dei prigioni di Michelangelo, che ogni volta, invece, catturano la mia commossa attenzione. Gli obiettivi si concentrano divertiti sulle parti basse del povero David, lato A e B, selfie più o meno decorosi di susseguono: hai attraversato i secoli per farti fotografare natiche e zebedei caro mio, son soddisfazioni.
Le sale superiori trecentesche sono praticamente deserte.
Tappa n.3: Museo dell’Opera del Duomo
Non sazio di bellezza, dopo un’ora e mezza torno sui miei passi e dall’abside del Duomo mi avvio verso il Museo dell’Opera del Duomo. Se giornata da turista ha da essere, lo sia fino in fondo. All’ingresso non trovo che una cortese signora che mi indica ‘la biglietteria’.
È a metà strada dalla porta dei Canonici del Duomo, faccio un’altra fila per il biglietto, venti minuti sotto il sole. Tre ragazze francesi prima di me si siedono sul marciapiede, sfinite.
Praticamente il biglietto per la Cattedrale è unico, con tre combinazioni ed opzioni di spesa, per Museo dell’ Opera, Santa Reparata, Battistero, Cupola e Campanile. Ma oggi Cupola e Santa Reparata sono esauriti. Il biglietto sarebbe valido anche domani, ma per me basta così. Sono turista a tempo, solo oggi.
Entro al Museo dell’Opera, veramente molto bello, moderno e curato: un’ora e mezzo di sculture e plastici d’epoca della facciata e della Cupola, con gli incredibili strumenti di costruzione dell’epoca e la Porta del Paradiso.
Dopo la Pietà di Michelangelo e l’immancabile bookstore, esco a rivedere il sole ed il caldo ora è veramente soffocante. Entro in Cattedrale, dove l’ambiente è sicuramente più fresco, giù Santa Reparata non potrò visitarla, come detto, ma l’affresco dell’interno della Cupola ed il coro ligneo valgono da soli il prezzo del biglietto.
Mi rimane il Battistero, l’ultima fila per oggi: è in rifacimento, ma il suo fascino antico e severo mi cattura ancora, dopo tanti anni. Quante passeggiate mattutine ai tempi della scuola, quanti scoppi del Carro.
Ci sarebbero ancora mille cose da vedere: Ponte Vecchio l’ho solo intravisto dalle finestre degli Uffizi, San Marco è soffocata dai lavori, Santa Croce e le Cappelle Medicee era fuori dal programma. Altro che un giorno, ci vorrebbe una settimana intera. Firenze non finisce mai di stupire ed attrarre, ma per oggi a me basta così.
Epilogo
La chiudo qui, è ora di tornare in albergo, anzi, scusate, a casa. Torno in Piazza dell’Unità, la Tramvia mi aspetta, stavolta colma di passeggeri. Sono felice nel pensare che sarà l’ultima volta che la prendo.
Evidentemente lei ha percepito il mio astio nei suoi confronti. Nato per avere riempito la città di binari e pali, per aver ridotto i Viali a stretti tratturi, e Piazza della Libertà ad uno snodo ferroviario. Per sottacere tutti gli alberi sacrificati al suo passaggio.
Un prosaico spurgo dei pozzi neri nei pressi di una fermata, pervade con il suo olezzo le carrozze. I passeggeri si coprono il naso con la maglietta infilando, comicamente, il viso nella scollatura. I finestrini sono sigillati, questo simpatico odore ci accompagnerà tutta la corsa. Aiuterebbero, forse, le mascherine di coviddiana memoria.
Ridiamo amaramente tra noi, incrociando gli sguardi tra sconosciuti, complici in un momento di divertita e rassegnata condivisione. Sorrido pensando che nella sua casualità, in fondo, è del tutto evocativo.
Dov’è il nostro centro?
Evocativo della mia giornata da turista in patria che si conclude con esso. Giornata magnifica nei contenuti, quanto a dir poco deludente per lo stato della mia città, di come la ricordo. Evocativo di una città unica nei suoi tesori d’arte, il suo sapore medievale e rinascimentale, ma che a livello di pulizia e decoro lascia veramente molto a desiderare.
Il suo centro, il mio, il nostro centro, che era altrettanto unico e meraviglioso, che era casa nostra, neppure tanto tempo fa, per studiare, fare compere e trovarsi per una pizza, che fine ha fatto? Tra folla, degrado e sporcizia io non lo riconosco proprio più.
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