Il drammatico bilancio dell’ultimo mese in Israele conta l’uccisione di ben 14 vittime civili innocenti falciate dal terrorismo palestinese che sembra non avere fine.
L’ultimo in ordine di tempo è stato il povero Elas Ganeles cittadino americano con passaporto israeliano in visita in Israele per un matrimonio.
Il terrorismo palestinese chi lo fomenta
Ma, a parte il cordoglio, la politica anche internazionale sembra molto, troppo timida nel prendere rigorose misure avverso il terrorismo e chi lo fomenta.
Nonostante i colloqui svoltisi nei giorni scorsi in Giordania fra i vertici israeliani e palestinesi con la mediazione dei giordani e statunitensi, e gli impegni presi per ridurre la violenza, Israele continua ad essere bersaglio di attacchi vigliacchi. A causa della propaganda, poi, questi attacchi vengono contrabbandati come ritorsione contro le operazioni di polizia militare condotti dall’IDF e per questo sostanzialmente giustificati.
Si tratta di una evidente mistificazione. Le vittime palestinesi delle suddette operazioni erano terroristi o fiancheggiatori di terroristi (salvo pochissime eccezioni). I terroristi palestinesi hanno ucciso civili, persone innocenti rese bersaglio dalla follia omicida che ha addirittura visto protagonisti degli adolescenti.
L’ideologia di morte che si porta dietro la propaganda palestinese ha complici e mandati diretti nelle autorità che ne rappresentano il “governo” le cui affermazioni di pace sono contraddette dai fatti.
L’ANP nonostante ogni proclama, continuerà a sostenere economicamente i terroristi arrestati e le famiglie di quelli uccisi, il tutto con i soldi che l’Occidente continua a inviare e che evidentemente non vengono utilizzati per il miglioramento delle condizioni dei civili palestinesi.
Le colpe dell’Occidente
Un Occidente ben poco attento alle esigenze di difesa dello stato ebraico se si tiene conto che l’Amministrazione Biden insiste affinché cessino gli aiuti ai coloni di Giudea e Samaria e le operazioni militari dell’IDF nelle città arabe.
Ma è evidente che tale condizioni esporrebbe ancor di più lo Stato di Israele alla violenza terroristica che spesso ha le proprie enclaves proprio in quelle città. Inutile quindi impegnarsi alla de-escalation se poi si ostacola il legittimo diritto all’autodifesa. Perciò, altrettanto evidente che il Governo Nethanyau non può accettare simili condizioni.
Il pericolo Iran
Una politica miope da parte degli USA che rischia di rivelarsi assai pericolosa medio tempore. Anche in considerazione del fatto che il terrorismo arabo è incoraggiato e sostenuto da quell’Iran che si sta rendendo sempre più pericoloso anche in termini di aspirante potenza nucleare.
Secondo l’ultimo rapporto dell’AIEA gli Ayatollah hanno raggiunto la quota 84% di arricchimento dell’uranio sui 90% necessari per la bomba atomica e questo rappresenta per Israele la minaccia più concreta e grave.
DI fronte a tale situazione, tacere o sottovalutare diventa criminale. Per questo, sono condivisibili le parole del Ministro degli Esteri israeliano, Infatti Cohen ha sottolineato come l’unica deterrenza possibile per contenere la minaccia israeliana è quella di una risposta armata credibile oltre all’intensificarsi delle sanzioni economiche. Anche perché l’asse creato tra i pasdaran e la Russia li rende obiettivamente più temibili e le cautele USA francamente non si comprendono.
Le insostenibili posizioni di Amnesty International e del ministro tedesco
A ciò aggiungasi le deliranti prese di posizione di Amnesty International che continua a parlare di apartheid con riferimento alla condizione della Striscia di Gaza, Ma la storia ma anche l’attualità smentisce questa ricostruzione che tuttavia persiste nell’immaginario collettivo.
Nessuno trova il coraggio per affermare l’ovvio: e cioè che le condizioni di vita della popolazione palestinese sono solo ed esclusivamente responsabilità della sua stessa classe dirigente.
Al contrario, è lo Stato di Israele che sovente giunge in aiuto mediante la fornitura di acqua, generi di prima necessità, cure mediche e medicinali. Una vera e propria apartheid, non c’è che dire!
Non solo! Stupisce non poco la curiosa posizione della Germania che, per bocca del proprio ministro degli Esteri, condanna il sostegno di Israele agli insediamenti. Anche in UE, dunque, il sostegno a Israele è spesso limitato a vuoti proclami, senza che sul piano della politica trovi quella sponda necessaria e doverosa.
Insomma sembra di assistere un sorta di accerchiamento contro Israele che da vittima, come sempre, viene dipinto come carnefice.
Pericolose crisi che si intrecciano
E in questo momento la cosa si appalesa ancor più grave e pericolosa, dal momento che, come nota Ugo Volli, lo stato ebraico sta vivendo anche una serie di crisi profonde di natura sia interna che esterna.
A una condizione economica strutturalmente robusta ma con qualche problema congiunturale, si aggiunge una crisi politica derivante dalle ultime elezioni politiche.
Le opposizioni pare non intendano accettare il verdetto delle urne e tentano di ostacolare in ogni modo la realizzazione del mandato elettorale. Ciò, a partire dal nodo della riforma giudiziaria che, visto l’estremo potere che ha la magistratura israeliana, ha pesanti ricadute sulla politica del Governo.
Una babele di situazioni, dunque, che certifica l’estrema complessità in cui si trova al momento lo stato ebraico nella ricerca di punti di equilibrio interni ed esterni che gli consentano di sopravvivere all’assedio di crisi nel quale è immerso.
Certamente, questi ultimi mesi, ci dicono in modo lampante quanto occorra sfatare il mito per il quale l’Occidente è compatto a fianco di Israele perché tale lettura non corrisponde purtroppo al vero, sebbene sarebbe la scelta più logica visto il nuovo quadro di alleanze geopolitiche che si vanno delineando nel mondo.
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