Inginocchiarsi sì, inginocchiarsi no. Questa storia delle dimostrazioni dell’antirazzismo con la pagliacciata dell’inginocchiarsi come obbliga il racket del Black Lives Matter, sta avendo contorni sempre più simili ad un romanzo di Kafka.
Sì, perché ormai di racket trattasi. Se non ti inginocchi sei automaticamente un razzista, magari omofobo e sicuramente un po’ stronzo. Puttanate altisonanti. Non mi considero razzista e sono del parere che tutti debbano essere trattati in maniera uguale. Però questi estorsori del pensiero unico main stream mi stanno convincendo del contrario. Che il vero razzismo è il loro.
Ieri è stata giocata una partita dei quarti di finale. Italia – Austria, che abbiamo vinto ai supplementari con non poca fatica. E di cosa si parla? Del fatto che nessuna delle due nazionali si è inginocchiata. Questo è l’Europeo dell’onanismo mentale. Altroché.
La cosa triste è invece che, da come si sussurra, gli italiani abbiano giocato di rimessa. Avrebbe deciso di inginocchiarsi in risposta all’Austria. L’Austria ha deciso di stare in piedi, di conseguenza anche l’Italia. Al solito ci siamo dimostrati per quello che siamo.
Siamo un popolo che sa servire
Storicamente gli italiani sono un popolo di servitori, magari di classe, ma pur sempre di servitori. E mi spiego meglio. Gli italiani sono famosi nel mondo per: cucina, abbigliamento, arte.
Quindi cuochi, sarti e pittori. Tutte persone che fanno del proprio mestiere un sevizio per chi ha i denari. In questo siamo bravissimi, eccelliamo e siamo d’esempio al mondo. Ma siamo pur sempre al servizio di qualcuno.
E, badate bene, non sono io a sostenerlo. Ma lo disse la prima volta un certo Indro Montanelli, uno dei migliori giornalisti italiani mai esistiti. Che non parlava mai a sproposito.
Ieri sera abbiamo avuto un’altra dimostrazione. Ci siamo messi a servizio dell’Austria, ma almeno non del racket. Poi però abbiamo vinto. E quindi siamo tutti contenti. Castrati ma contenti.
Ogni grande causa comincia con un movimento, diventa un business e infine degenera in un racket.
[Eric Hoffer]
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