Mercoledì 17 l’Italia festeggia i suoi centosessant’anni reclusa in rosso per il lockdown e la vergogna. Ci vergogniamo di essere e dirci italiani. È il sentimento prevalente, l’imprecazione più diffusa; cambiano le motivazioni ma non la conclusione. Ci vergogniamo ora per i governi e i parlamenti ora per il popolo e le classi dirigenti, ora per i meriti negati o i bisogni calpestati, ora per le disfunzioni e il malaffare; ora per le brutte leggi, ora per la loro inosservanza. Sentiamo di essere sempre quelli messi peggio. E certe statistiche ci danno supporti generosi per fondare e alimentare questa nostra autodenigrazione.
Italiani per forza
Ma noi, siamo italiani per scelta o per forza, per indole o per disgrazia? Italiani per forza s’intitola un libro di Dino Messina uscito ora (ed. Solferino) che difende l’unità d’Italia e sfata la tesi, diffusa, che siamo stati forzati all’unità. Non polemizza con i neoborbonici ma vuol dimostrare che troppe fandonie sono state raccontate contro l’unità d’Italia e sulla repressione nel sud. E lo dice da meridionale.
Per circa un secolo la polemica antirisorgimentale fu polemica antiborghese, socialista e internazionalista. O di chi sognava di valicare le alpi e sentirsi nell’Europa moderna, anziché l’antica Italia. Da trent’anni a questa parte, serpeggia nel paese un senso di rigetto verso l’unità d’Italia che è poi un risentimento verso lo Stato. Cominciò la Lega nord a tradurre quel sentimento antitaliano in politica, e nacque il tentativo d’immaginarsi una patria settentrionale, la Padania, che porta sulle sue spalle il corpo mafioso-parassitario del sud terrone.
Venne, a seguire, il rigetto dell’Italia da parte di molti meridionali che ripresero, sull’onda di alcuni libri, il racconto del sud conquistato dai piemontesi, costretto all’unità da massacri e violenze; quel sud un tempo fiorente ma via via depredato e svuotato dal nord. Leggende generose, nell’insieme, anche se fondata su alcuni elementi veri.
Il secessionismo del nord era giocato soprattutto contro il centralismo romano, e di riflesso contro la meridionalizzazione d’Italia; il separatismo meridionale invece ha una valenza soprattutto storica e retroattiva, contro il nord sabaudo e garibaldino, e di riflesso diventa anti-unitario.
Mazzini e Garibaldi
È curioso pensare che lo stesso sud, al referendum sulla monarchia, votò nettamente per il regno sabaudo; così come è curioso pensare che l’unità d’Italia fu voluta proprio dai padani, non solo il Piemonte sabaudo ma pure i lombardi, i veneti e quanti sognarono l’Italia unita nel nome di Mazzini e Garibaldi.
Ogni volta che parlo dell’unità d’Italia, molti miei “conterronei” insorgono contro quella “sciagurata” unificazione ritenuta la rovina del sud. Sul piano storico sono salutari le revisioni storiche, purché serie e fondate; ed è giusto riequilibrare la narrativa risorgimentale raccontando pure il lato d’ombra del processo unitario. Comunque, una cosa è rivedere la storia e i giudizi su borbonici e asburgici, un’altra è vagheggiare impossibili restaurazioni.
È onesto ricordare che l’unità d’Italia avvenne con l’estraneità, più che l’ostilità, di tre mondi che erano la schiacciante maggioranza popolare: i contadini, i cattolici e i meridionali. L’avversione all’Italia riguardò una minoranza, come una minoranza volle l’unità d’Italia; gran parte degli italiani, non solo a sud, furono estranei al fervore unitario, ma non opposero resistenza. Il brigantaggio fu un fenomeno circoscritto e non riguardò solo criminali o eroici patrioti ma un po’ l’uno e un po’ l’altro. La storia non si fa con l’accetta, in bianco e nero.
Il Risorgimento
A chi parla dei lager dei Savoia e dei massacri compiuti a sud, vorrei ricordare che peggiori massacri il sud li aveva subiti prima, con la repressione francese-giacobina delle insorgenze, tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’800. Decine di migliaia di morti, città messe a ferro e fuoco, popolazioni punite perché fedeli al Re e alla Fede; al loro confronto furono minori le repressioni borboniche o le stragi sanfediste.
Il Risorgimento costò agli italiani meno vittime della pandemia; le vittime meridionali attribuite al Risorgimento sono in realtà postume, risalgono allo Stato unitario. In secondo luogo, il sud che non aveva preso parte, se non in una piccola minoranza, al Risorgimento, partecipò poi attivamente alla struttura dello Stato unitario, a cui dette gran parte della sua ossatura tra prefetti, docenti, impiegati e funzionari, carabinieri e soldati, venuti dal sud. L’Italia moderna fu fatta dal nord imprenditoriale e dal sud statale.
Infine vorrei tornare alla domanda da cui siamo partiti: ma noi, siamo italiani per forza o per scelta, per indole o per disgrazia? Ci piaccia o no, siamo italiani dentro e fuori, siamo italiani nella lingua e nella geografia, nel carattere e nel costume, pur con tutte le differenze che ci contraddistinguono. Siamo italiani per destino e per necessità (e per molti aspetti per nostra fortuna). Siamo una nazione disegnata dalla lingua, dalla letteratura e dalla geografia, circondati dal mare e dalle Alpi.
Gli italiani sono sempre un po’ antitaliani
Siamo il frutto diretto di due civiltà, quella romana e quella cattolica, che ci hanno permeato. Siamo latini e mediterranei. E siamo italiani anche nella lagna, nell’individualismo, nell’invettiva costante contro l’Italia; gli italiani sono sempre un po’ antitaliani, è nel loro DNA. Poi, certo, ci sono mille differenze, e non solo quelle tra nord e sud. Ma l’unità d’Italia fu un bene e una necessità, anche se fu fatta male e fece anche del male.
Dove porta questa riluttanza antitaliana, questo cupio dissolvi? Se non fossimo italiani, se non ci fosse lo Stato italiano credete davvero che staremmo meglio, e più a nostro agio? Una volta abolita l’Italia, pensate che andrebbe tutto meglio? Poi non lamentatevi se siamo colonizzati e commissariati, visto che voi stessi volete sopprimere l’Italia. Insomma, criticate pure, ma non buttate a mare quel paese che bene o male è e resta la vostra casa, la nostra patria.
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