Toscana – Sul piano nazionale si è verificato il singolare caso di elezioni regionali (abbinate ad un referendum costituzionale) il cui risultato elettorale non ha trovato corrispondenza in un risultato politico. Mi spiego meglio: sul piano elettorale il centrodestra è senz’altro uscito vittorioso dalle urne per numero di voti, di seggi regionali e di regioni conquistate (o riconquistate). Ma, sul piano politico, la vittoria del Sì al referendum e la tenuta del PD in Toscana e in Puglia, rafforzano indubbiamente il Governo Conte ed il Centrosinistra guidato da Zingaretti. Come a dire che non sempre una vittoria elettorale si traduce in vittoria politica; e viceversa.
Certo, in Toscana la situazione appare più chiara. Perché, sia sul piano elettorale che politico, il Centrosinistra ha vinto. E ha vinto a Firenze e provincia: a dimostrazione che senza Firenze non c’è Toscana. Eugenio Giani ha battuto con ampio margine Susanna Ceccardi, la quale ha però realizzato la miglior performance di uno sfidante-governatore, dopo quella di Altero Matteoli nell’ormai lontano anno duemila, tenendo così accesa la fiamma della speranza in un cambiamento a venire.
In Toscana il PD non ha bisogno di Italia Viva
Il risultato toscano peraltro, se analizzato, evidenzia problemi di non poco conto per entrambi gli schieramenti. Poniamo per un attimo lo sguardo in casa del Centrosinistra. Giani ha vinto e senza che risultasse determinante l’apporto di Italia Viva. A conferma che la reiterata strategia renziana di sfondamento sul versante di centro-destra è ancora una volta fallita.
Anzi, l’affossamento di tale progetto trasforma definitivamente Italia Viva in un’Italia Morta. Il che fa di Renzi un reuccio detronizzato in cerca di regno. Cosa che non lascerà sereni PD e alleati. Inoltre Giani ha vinto sì, ma senza un definito progetto di governo della Toscana a causa delle irriducibili differenze programmatiche della sua variegata coalizione. E se è vero che le capacità mediatrici del buon Eugenio sono note, è pur vero che sarà difficile trovare una sintesi operativa.
La qual cosa rischia di alimentare tutte le contraddizioni interne al Centrosinistra, indebolendo sul nascere l’azione di governo; e proprio nella fase più delicata di una crisi economico-sociale che si preannuncia lunga, profonda e drammatica.
E a destra che succede?
A casa del Centrodestra invece due sono i problemi principali. Il primo si chiama “Firenze”. Perché è inutile conquistare i territori periferici della regione per poi sprofondare elettoralmente nell’area centrale – la più popolosa e la più forte economicamente – che è quella fiorentina. Così il Centrodestra non vincerà mai in Toscana.
E infatti da parte del Centrodestra è mancato proprio un investimento politico su Firenze. Per cui il generoso impegno di tante singole persone non è riuscito a tradursi in un vero progetto politico teso a costruire un’alternativa al dominio del PD e al regime politico del Centrosinistra. Tant’è che Firenze, in realtà, non è stata persa nel settembre del 2020 bensì nel maggio del 2019, con una deficitaria campagna amministrativa condotta dal più improbabile candidato sindaco mai apparso in riva d’Arno.
Carenza di classe politica toscana
Anche se, per amore di verità, va detto che tale battaglia amministrativa partiva comunque già compromessa dalla totale assenza di presenza ed iniziativa politica in città dei partiti di opposizione. L’altro problema del Centrodestra è pertanto quello della carenza di classe politica. Con un personale inadeguato non si può pensare seriamente di fare politica. Intendendo per politica: elaborazione di idee, progettazione di iniziative, confronto sui contenuti, interlocuzione con le diverse componenti della società, azione amministrativa e radicamento sul territorio.
E difatti il personale politico del Centrodestra tende sostanzialmente a rifugiarsi in se stesso, secondo una modalità autoreferenziale, limitandosi a campare parassitariamente di rendita sul consenso di cui godono i rispettivi leaders nazionali, senza apportare alcun contributo in termini di crescita ideale ed elettorale.
Anche in queste elezioni, ad esempio, si è visto candidati andare unicamente a caccia di preferenze all’interno dell’elettorato del proprio partito invece che proiettarsi all’esterno per cercare di allargare l’elettorato del proprio partito. Un limite grave di cui non vi è consapevolezza perché manca qualità e cultura politica.
E se tutta la coalizione porta la responsabilità di questa situazione, la Lega che è (o dovrebbe essere) il partito trainante la porta in misura maggiore. Credo perciò che proprio la Lega dovrebbe aprire una approfondita riflessione sui risultati conseguiti in Toscana ed in particolare a Firenze. Per decidere una volta per tutte se essere un partito con la nostalgia dello 0,1% o un partito con l’ambizione del 51%.
E per decidere come rappresentare la volontà di riscatto di quella Firenze che mai si arrende e che è cuore e motore della Toscana.
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