Tra i suoi interpreti preferiti c’era il tenore austriaco Richard Tauber ma, al di là dei gusti personali, Julius Evola sapeva leggere nella musica lo “spirito del tempo” e decodificare nelle mode e nelle tendenze i segnali di una decadenza o di una rinascita. Lo dimostrano i saggi raccolti nel libro Da Wagner al jazz. Scritti sulla musica 1936-1971 (edito da Jouvence), con prefazione del filosofo Massimo Donà. Ebbene, vi si scopre che anche nei suoi giudizi musicali il filosofo Evola era anticonformista rispetto al suo tempo.
E se del jazz, ad esempio, si scriveva che si trattava di “musica barbarica e sensualistica”, lui nel ’36 sul Corriere Padanorettificava: “Il jazz costituisce una delle forme di superamento del romanticismo e di irruzione del primordiale nel mondo moderno. Ciò significa che il jazz porta la musica di là da quell’ambito sentimentale e patetico che la caratterizzava nel precedente periodo borghese”. Se da una parte troviamo l’elogio del jazz da parte di un autore che era stato non a caso dadaista e che sapeva apprezzare le avanguardie, dall’altra troviamo l’Evola studioso della Tradizione che polemizza con il modo sentimentale e romantico con il quale Richard Wagner “gioca” con i miti cari all’animo germanico.
Animo che, secondo Evola, si esprimeva invece nell’epica attraverso una ferma volontà di dominio. Interessanti poi anche gli articoli, risalenti al dopoguerra, in cui Evola attacca e critica la musica leggera sdolcinata e ritagliata sugli ideali “piccolo-borghesi”. I saggi raccolti in questo libro, in definitiva, rivelano la straordinaria capacità di Evola di interpretare anche la musica in un’ottica socio-culturale e in relazione con le categorie del prensiero tradizionale. Come scrive Piero Chiappano nell’introduzione ai saggi raccolti “con Boezio potremmo dire che Evola ambisce a farsi musicus, cioè colui che non è compositore né esecutore ma che possiede la facoltà di giudicare”.