La nostra Costituzione ebbe sin da subito difficoltà attuative. La Corte Costituzionale divenne operativa solo nel 1955, perché poi i partiti non trovavano l’accordo per una legge ordinaria attuativa della Costituzione.
Stessa sorte per le regioni a statuto ordinario e per i referendum possibili solo dal 1970, oltre trent’anni dopo l’entrata in vigore della Carta Costituzionale.
Sempre perché il sistema parlamentare già allora era in crisi, e non voleva creare altri enti decentrati forti e neppure mettersi sotto la scure del potere popolare con il referendum. Paradossalmente all’inizio i comunisti imbevuti di mentalità centralista e gramsciana non volevano le regioni. E non volevano corti in grado di limitare un eventuale loro governo.
Successivamente alla collocazione atlantista del nostro paese, furono proprio i comunisti a cercare di poter condividere un potere in enti locali importanti e con la possibilità del ricorso al referendum. Quindi la nostra Carta nella sua storia è stata sempre forzata.
In questo momento storico c’è un impossibilità della politica di governare il paese. Perché abbiamo una legge elettorale scriteriata, sulla quale a suo tempo la Corte mise del suo andando a colpire i premi di maggioranza. Che non garantisce governabilità.
La precarietà del Primo Ministro
Dunque l’inquilino di Palazzo Chigi è precario. L’opzione di avere una Repubblica Presidenziale senza eleggere il presidente potrebbe concretizzarsi proprio con Mario Draghi.
Per Draghi il 2023 è un orizzonte troppo a breve scadenza, limitato e che comunque lo condurrebbe a due opzioni successive alle elezioni. Cedere il passo ad un governo politico, qualora si riuscisse a esprimere una maggioranza, oppure dover ricostruire con da poco reduci di una campagna elettorale sicuramente divisiva un nuovo esecutivo che dovrebbe necessariamente tenere conto di equilibri differenti.
È ovvio che a questo punto per un uomo fortemente accreditato presso gli ambienti del Patto Atlantico, determinanti nel nostro paese e l’Unione Europea, andare al Colle significherebbe riuscire a condizionare un ciclo per almeno sette anni.
Anche perché difficilmente in questa situazione, la classe politica avrà la maturità di varare una legge che garantisca la governabilità e quindi ridia centralità al parlamento ed un ruolo di Palazzo Chigi.
I fratelli d’oltralpe, tramite l’elezione diretta razionalizzarono il sistema parlamentare permettendo ancora al popolo di avere un loro. Noi continueremo tranquillamente a separare le istituzioni dai cittadini. Perché creeremo un ingombrante inquilino al Colle che sarà il vero capo di esecutivi deboli.
Se con Cossiga ed in parte Pertini se ne sono viste delle belle, immaginiamo Draghi che potrà rifiutarsi di ratificare ministri non graditi, di dare un incarico per formare il nuovo governo a chi non ritiene all’altezza. Sarà responsabile di mettere a tavolino di partiti per trovare un accordo sul futuro. Probabilmente cambierebbe lo scenario. Innoverebbe, evolverebbe la Repubblica. Senza però quei necessari passaggi istituzionali che darebbero credibilità e forza alla nostra democrazia quale l’elezione popolare diretta, e la possibilità per i cittadini di scegliersi il governo.
L’agonia della repubblica dei parlamentari
Una repubblica non semipresidenziale alla francese, ma con partiti, parlamento e governo condizionati dal capo dello Stato, unico vero baricentro di tutto.
È vero che la repubblica dei parlamentare è ormai in agonia.
La riforma avrebbe dovuto portare non ad un mero taglio dei parlamentari, ma ad una scelta più coraggiosa come l’elezione diretta del Capo dello Stato, anche per riguadagnare la fiducia della gente. Invece probabilmente sarà Draghi a determinare non solo la tenuta del sistema paese ma i nuovi assetti governativi per i prossimi anni. Il tutto senza passare mai dalle urne.
Il sistema andava riformato. Solo che i francesi affidarono tale riforma a De Gaulle. Generale della Resistenza, combattente ed eroe nazionale. Un uomo che comunque sottopose le sue scelte ad una serie di referendum, per non sottrarsi al giudizio del popolo francese.
Noi siamo italiani e abbiamo un rispettabilissimo uomo di banca, a riformare un sistema in agonia. Senza che il popolo partecipi al processo di riforma. Ma si sa il popolo francese è quello che prese la Bastiglia. Il popolo italiano è considerato una noiosa complicazione per chi guida le nostre istituzioni.
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