La crisi della “woke culture”: dagli USA all’Europa?
Per i meno attenti cos’è la cultura Woke?
È quell’ ideologia che ha portato ad imporre in Europa costi quel che costi la decarbonizzazione, individuando spesso nell’ inclusione forzata o nell’ ecologica imposta la soluzione collettivistica a dei problemi che spesso sembrano il pretesto più che il vero motivo di queste impostazioni
Un’ esempio? L’ abbandono entro il 2035 delle auto termiche ad esclusivo vantaggio di quelle elettroniche, scelta che è causa della crisi industriale europea ma che si stenta ad ammettere proprio perché ammetterlo significherebbe per certa parte politica non solo di aver sbagliato, ma di averlo fatto imponendo con regole e regolamenti una visione collettivista degna dell’ era Staliniana non certo di un’ Europa liberale
Infatti, ormai da anni la “woke culture” ha dominato il dibattito pubblico in America. L’idea di una società più inclusiva, attenta alle minoranze e ai diritti di tutti sembrava inarrestabile. Ma ora il vento sta cambiando, e non solo negli Stati Uniti. Anche in Europa si iniziano a vedere i primi scricchiolii.
Negli Stati Uniti, la grande ritirata è partita proprio da dove la rivoluzione era nata: le aziende. Giganti come Meta (Facebook), Disney e McDonald’s hanno iniziato a ridimensionare i loro programmi sulla diversità e l’inclusione, spesso accusati di aver creato più divisioni che benefici
Non è solo una questione di business. Anche la politica sta facendo marcia indietro. Trump, tornato alla Casa Bianca, ha smantellato le commissioni federali sulla Diversity, Equity & Inclusion (DEI), considerate da molti un simbolo degli eccessi della “woke culture”. Ma la cosa più interessante è che la rivolta non viene solo dai conservatori.
Anche pezzi della sinistra americana stanno prendendo le distanze. Bernie Sanders, per esempio, ha sempre detto che la vera battaglia è quella economica, non quella sulle identità di genere o di razza. E non è l’unico
Il governatore della California, Gavin Newsom, ha recentemente criticato la partecipazione di atleti transgender nelle competizioni femminili. Un tempo un tabù per i progressisti, ora una questione su cui anche loro iniziano a interrogarsi.
Se in America il cambio di rotta è ormai evidente, in Europa il dibattito è più sfumato. Ma qualcosa si sta muovendo
In Scozia, per esempio, i tifosi dei Rangers hanno esposto uno striscione con scritto: “Keep woke foreign ideologies out. Defend Europe”. Risultato? Sanzione immediata dalla UEFA, ma anche un applauso da chi si sente stanco di certe imposizioni.
Anche la sinistra europea inizia a interrogarsi. In Spagna, un recente articolo di El País ha evidenziato come la sinistra abbia perso il contatto con la classe operaia, troppo impegnata a difendere simboli identitari come il velo islamico, mentre la gente fatica ad arrivare a fine mese
Persino la Francia, storicamente sensibile ai temi sociali, sembra meno incline a certe battaglie. Dopo la rielezione di Trump, Le Monde ha ipotizzato che la “woke culture” potrebbe essere arrivata al capolinea, anche in Europa.
Non è detto che la “woke culture” sia morta, ma una cosa è certa: sta subendo una revisione profonda, sia in America che in Europa. Quella che sembrava una rivoluzione inarrestabile oggi si scontra con la realtà. Le aziende si sono accorte che i consumatori non vogliono essere educati a ogni acquisto. I politici hanno capito che la gente ha problemi più urgenti che discutere di pronomi e identità di genere
Forse non è la fine, ma di sicuro è la fine dell’innocenza per un movimento che pensava di avere sempre e comunque ragione e come già detto sta suscitando una reazione che ne mette in dubbio la buona fede e fa capire che i valori di libertà di opinione e di scelta sono insiti nella cultura liberale occidentale ed ogni tentativo di limitare o peggio indirizzare le scelte solo per una presunzione ideologica non fa che alimentare una reazione e repulsione verso chi ne è stato artefice.
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