La crisi delle periferie francesi

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I mezzi di informazione regolamentati o autoregolati commentano la crisi delle periferie francesi incolpando prima di tutto i governi di ogni colore politico succedutisi in Francia negli ultimi decenni: la crisi in corso è essenzialmente sociale.

Emarginazione, difficoltà a trovare un lavoro, scuola disertata, discriminazioni che sfiorano il razzismo. La narrazione dice che i ragazzi violenti e le loro famiglie sono innocenti vittime di apartheid: padri, madri, nonni dei rivoltosi sono todos caballeros. Le colpe vanno cercate nel sistema democratico occidentale disattento e discriminatorio verso le minoranze etniche (razzista), religiose (islamofobo) e sessuali (omofobo).

Che i francesi si esprimano spesso in modo drastico fino alla violenza è un dato certo della loro storia passata e recente.

Ma qui non si tratta di francesi, si tratta di stranieri che risiedono in Francia, magari da decenni: per essere francesi o italiani o di qualsiasi altro Paese non basta risiedervi, bisogna condividere cultura, valori fondativi, regole di vita comuni.

Non è il caso in esame: si tratta qui di ragazzi cresciuti in famiglie che hanno ridotto i rioni cittadini in cui vivono a enclave – islamiche – per impedire a se stessi, ai propri figli e finanche nipoti, di diventare francesi, di abiurare la FEDE (islamica) che è anche modello di governo.

Bisognerà che tutti si decidano a fare una distinzione: non sono i francesi autoctoni, di cultura occidentale e con radici cristiane a ribellarsi con inusitata violenza. Sono i figli e addirittura i nipoti degli immigrati, soprattutto algerini che arrivarono in Francia 60 anni fa, felicemente accolti per combattere il declino demografico e per sostituire i francesi nelle mansioni più umili, col progetto di integrarli.

Che la crisi odierna sia cavalcata a sinistra dal comunista di ritorno Melenchon che raccoglie i voti delle banlieu, e a destra dalla sovranista Marine Le Penn che raccoglie il consenso dei sempre più indignati (e impauriti) francesi autoctoni, rappresenta la quotidianità della lotta politica di breve respiro. Fattore di debolezza sistemica del metodo democratico, ma impossibile da rimuovere, garanzia di pluralismo anche se peloso, come in questo caso.

L’Italia di oggi è la Francia di ieri

Oggi l’Italia è in situazione simile alla Francia 1960: declino demografico, rifiuto dei lavori umili o faticosi, parte del Paese aperta alla accoglienza universale e senza limiti né controlli, richiesta della sinistra di applicare lo jus soli agli stranieri residenti, ma a ben guardare anche ai clandestini: tutti italiani per legge, come accadde in Francia, come se bastasse condividere un CAP per essere italiani.

All’epoca il coro delle sinistre, che da sempre aspirano a sovvertire con ogni mezzo il sistema democratico occidentale, fu unanime ed esplicito: l’Algeria si era liberata dal giogo colonialista, con il sostegno politico e salvifico del Comintern, la longa manus dell’URSS nella lunga battaglia della guerra fredda, con la compiacenza degli intellò occidentali. Valga per tutti l’osannato film “La rivolta di Algeri” di Gillo Pontecorvo.

Per inciso fu all’epoca che Boumedienne se ne uscì con la famosa profezia “il mondo islamico ha nell’utero delle proprie donne le armi che domani conquisteranno l’Europa”.

In attesa dell’evento, gli imam non stanno con le mani in mano. Quello di Birmingham diceva: “ora stiamo prendendo Birmingham e la stiamo popolando, Bruxelles è al 30% islamica e Amsterdam lo è al 40%. Bradford è al 17 per cento musulmana. E qui siamo solo all’inizio”. Non parlava di Malmo né delle banlieu francesi dove la nuova criminalità islamo-mafiosa declina i due paradigmi dell’estremismo salafita e dello spaccio di droga con un presidio talmente feroce del territorio che sconsiglia perfino azioni di polizia: tanti Stati nello Stato.

Siamo nati qui, ma questa non è casa nostra

Per dire: il quartiere La Castellane di Marsiglia ha le stesse caratteristiche di Scampia: mercato di ogni droga, vedette che sorvegliano chi entra e chi esce dal loro territorio. Però a Scampia ogni tanto la polizia fa un blitz e mette in galera qualche decina di delinquenti (subito sostituiti dalle riserve della criminalità). In Francia neanche i blitz, come al Molenbeek di Bruxelles, al Rosengard di Malmo, dove i giovani mediorientali (nati in Svezia) dicono: “siamo nati a Rosen­gard ma questa non è mica casa nostra”.

La rivolta odierna è avvenuta perché un poliziotto, nel frattempo arrestato, ha ucciso in circostanze poco chiare un giovane di cultura algerina e di nazionalità francese, al volante di una Mercedes da 80.000 € (perché la guidava, chi è il proprietario, difficile che fosse sua: faceva il fattorino) che non si era fermato al posto di blocco. Il giovane era attenzionato dalla polizia per motivi che nessuno ha chiarito: santo subito!  E chi è interessato a capire meglio è un razzista.

L’altra faccia della medaglia è rappresentata dai cittadini europei falciati dai mitra, dai coltelli, dalle automobili o dalle bombe mica islamiche, bensì “islamiste”. Preti sgozzati, cristiani accoppati per le strade di casa propria.

Ma i francesi non danno fuoco a migliaia di automobili, non sfondano né saccheggiano negozi, non assediano le case dei sindaci.

Come il resto degli europei autoctoni, per esempio inglesi che mantengono, per disposizione del proprio governo, l’imam di Birmingham con 45.000€ all’anno: mazziati e cornuti.

Usque tandem?

Gli ultimi risultati elettorali in Europa, Italia compresa, mostrano che la misura pare prossima a colmarsi.

Può darsi che ci sia ancora la speranza di lasciare ai nostri figli un sistema che ha assicurato libertà e benessere inusuali: le prossime elezioni europee saranno conclusive nel bene o nel male.

Nel frattempo viene – a me – spontaneo confidare nel governo Meloni, il meno peggio dell’ultimo decennio.

 

 

 

 

 

 

 

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