La crisi di Cina e Germania e il disordine mondiale
Tutti in questo periodo stanno andando in Cina. Appena rientrato da Pechino il ministro degli affari esteri Antonio Tajani che, accantonata la “via della seta” di De Maio, auspica nuove prospettive fra i due Paesi. Prossimamente varcherà i confini dell’immensa nazione il presidente del Consiglio Meloni. Nel 2024 è già nell’agenda di Mattarella un incontro con Xi Jimping.
E chi non va fisicamente, un occhio ad oriente per scrutare oltre la muraglia cinese lo getta comunque. Anche il Papa argentino, un caliente e pragmatico Don Camillo sudamericano, nel recente viaggio in Mongolia rimane estasiato dalla cultura millenaria dell’estremo oriente. E dalle sue ricchezze.
Il tutto in un momento in cui la Cina registra dati tutt’altro che tranquillizzanti sul fronte della crescita dell’economia.
Il suo ruolo attivo mondiale non è certo compromesso, ma una forte battuta di arresto – questo sì – c’è ed è palpabile, oltre che dirompente per ogni angolo del globo.
E’ tra l’altro sorprendente (o forse no) che la crisi cinese si affianca alla profonda crisi che sta attraversando un Paese a noi vicino, la Germania, il “locomotore” dell’area Euro, che ha un impatto altrettanto dirompente su tutto il Pil europeo.
Potrebbe esserci un minimo comune denominatore fra le crisi di due paesi così importanti nella scena economica mondiale, anche se così lontani geograficamente e culturalmente? E che conseguenze può avere per l’Italia il perdurare di una situazione internazionale così complessa?
E’ sicuramente difficile analizzare le crisi di due nazioni leader poiché i processi che hanno portato alla componente capitalistica di entrambe sono diversi, dal punto di vista storico ed economico. Tuttavia entrambe stanno attraversando una profonda e pericolosa crisi.
La Germania affonda le radici nel capitalismo “vecchio stampo”, quello di fine ‘800 tanto per intenderci. La produzione di beni è alla base dell’incremento di ricchezza. Lo sviluppo industriale tedesco è divenuto possibile fin dal tardo secolo XIX grazie a una larga intesa con la Russia. Ad oggi il conflitto con l’Ucraina ha portato alla scissione dell’asse Germania-Russia, con forti ripercussioni per entrambi i Paesi.
Dall’altra parte del mondo, nel continente asiatico, il progetto economico che – con buona pace dei capi del partito comunista – aveva molto di capitalismo moderno era incentrato sia sulla produzione sia sull’utilizzo delle leve finanziarie di lungo periodo, di stampo molto nordamericano. La Cina negli ultimi decenni ha dimostrato di interessarsi soprattutto alla cooperazione tecnologia con gli Stati Uniti, prima per la produzione poi per lo sviluppo interno di componenti.
La produttività del nuovo settore trainante tecnologico ha però condotto a avventurarsi in investimenti immobiliari anziché in nuovo sviluppo industriale, creando una bolla molto simile a quella vissuta negli Stati Uniti 15 anni fa con la crisi dei subprime. Il problema è che la crisi cinese sta rischiando di essere strutturale e non ciclica. Il rischio è molto alto.
E l’Italia? Tra i Paesi sviluppati è forse quello che avrà minori conseguenze.
L’Italia con il suo tessuto di piccole e medie imprese risentirà meno dei contraccolpi mondiali, in quanto sta dimostrando resilienza di fronte ai grandi processi di crisi economiche internazionali. Certo la recessione ci sarà, ma sarà meno profonda di altri Paesi europei che sono attaccati al problema di sovrapproduzione e delle transizioni ecologiche imposte dagli organi sovranazionali.
Si paventa da più parti che ci sarà un nuovo ordine mondiale.
Al momento vediamo invece un grosso disordine mondiale. Nel disordine l’Italia riesce sempre a barcamenarsi. E se i tedeschi aborrano il nostro caos e ci denigrano, i cinesi ci guardano ammirati e anche in questo campo cercano di copiarci.
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