L’Accademia della Crusca è stata chiara, finalmente.
“Dobbiamo serenamente prenderne atto, consci del fatto che sesso biologico e identità di genere sono cose diverse dal genere grammaticale”.
Con questa “sentenza” l’Accademia della Crusca mette la parola fine alla questione: asterisco o schwa (“e” capolvolta)?
Meglio il maschile plurale
La secolare istituzione fiorentina incaricata di custodire il ‘tesoro’ della lingua italiana interviene dopo molte sollecitazioni sui temi legati al genere: in particolare sull’uso dell’asterisco, dello schwa o di altri segni che ‘opacizzano’ le desinenze maschili e femminili.
Un uso promosso e sollecitato dalla scrittrice Michela Murgia e dalla sua “neo lingua”.
Spiega il linguista accademico Paolo D’Achille.
“È senz’altro giusto, e anzi lodevole, quando parliamo o scriviamo, prestare attenzione alle scelte linguistiche relative al genere, evitando ogni forma di sessismo linguistico. Ma non dobbiamo cercare o pretendere di forzare la lingua al servizio di un’ideologia, per quanto buona questa ci possa apparire”.
L’Accademia della Crusca pertanto precisa.
“L’italiano ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, ma non il neutro. Così come, nella categoria grammaticale del numero, distingue il singolare dal plurale, ma non ha il duale; presente in altre lingue, tra cui il greco antico. Dobbiamo serenamente prenderne atto: consci del fatto che sesso biologico e identità di genere sono cose diverse dal genere grammaticale”.
Michela Murgia, paladina della lingua inclusiva e non sessista dovrebbe prendere atto della sentenza autorevole.
Non bisogna travisare gli ambiti, spiega l’accademico.
L’ uso consapevole del maschile plurale non è certo da intendere come prevaricazione del maschile inteso come sesso biologico.
Eppure per la scrittrice dire “brava” e “Bella” era già un insulto.
E proponeva di abolire l’eroe presente nei classici e nelle favole.
”Deve vincere il collettivo”, prescive nel suo libro.
Boccia, dunque, il ricorso all’asterisco e allo schwa il professore Paolo D’Achille.
L’estensore del parere per l’Accademia della Crusca suggerisce pertanto il ricorso al maschile plurale.
E spiega. Nell’italiano standard il maschile al plurale è “da considerare come genere grammaticale non marcato”.
Per esempio nel caso di participi o aggettivi in frasi come “Maria e Pietro sono stanchi”.
O “mamma e papà sono usciti”.
Inoltre, se dico “stasera verranno da me alcuni amici” non significa affatto che la compagnia sarà di soli maschi.
Invece se dicessi “alcune amiche”, si tratterebbe soltanto di donne.
Se qualcuno dichiara di avere “tre figli”, sappiamo con certezza solo che tra loro c’è un maschio (diversamente dal caso di “tre figlie”), a meno che non aggiunga “maschi”.
Michela Murgia e le pasionarie della neo lingua se ne dovranno fare una ragione.
Il libro “Stai zitta“ (Einaudi) nel quale la scrittrice si prefigge di sfatare i luoghi comuni del maschilismo imperante può andare in soffitta.
Da Il Secolo d’Italia
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