LA DEPRESSIONE DI ZORAYA E I RISCHI DELL’EUTANASIA

Eutanasia

LA DEPRESSIONE DI ZORAYA E I RISCHI DELL’EUTANASIA

Zoraya Ter Beek è morta alle 13.25 del 22 maggio 2024. Appena 20 giorni prima aveva compiuto 29 anni. Nel silenzio assordante dei media, la ragazza, depressa cronica da molti anni, è stata soppressa tramite una dose letale. Eutanasia viene chiamata in Olanda, suo paese di origine che ha permesso per il tramite del servizio sanitario nazionale di compiere l’omicidio. Sì, perché di questo in realtà si tratta.

Zoraya era depressa. Non aveva altre malattie croniche conclamate insanabili, non era paraplegica immobile a letto, non era incurabile. Era solo depressa. Il suo male di vivere oramai coinvolgeva anche la sua vita privata. Risultava incapace di lavorare e di accudirsi. Ma non era sola. Il suo fidanzato ha condiviso fino all’ultimo il suo desiderio di andarsene. E la cosa risulta assai sconvolgente. Come si può permettere ad una persona amata di decidere e addirittura di aiutarla a morire? Non è il rapporto di coppia un sostegno alla vita, alla creazione di un futuro insieme, allo sviluppo di un legame profondo che sia testimonianza della vita l’uno dell’altro? All’età di Zoraya si deve poter sognare l’amore, la vita, una famiglia, dei figli. Come si può, seppure nella depressione, pensare ad annullare tutto questo?

Zoraya andava aiutata. Chi ama un sofferente lotta fino all’ultimo per strappargli un momento in più di vita, un minuto in più, un secondo in più. Mi chiedo come si possa pensare di accompagnarlo invece alla iniezione letale senza rimpianti. Ed è lecito chiedersi se le leggi che stiamo immettendo nei singoli ordinamenti statali , non siano sinonimo di modernità, ma un grave e profondo passo indietro. Dove sta quel senso di Umanità che ha garantito finora la nostra esistenza? E non è un discorso collegato alla fede o a un credo religioso, ma solo alla legge naturale che è innata in noi e che ci rende umani.

Zoraya era sana, era giovane, poteva avere dei figli e un futuro. Anche se aveva una depressione devastante, poteva e doveva poter superare le difficoltà, con qualsiasi mezzo. La sua depressione probabilmente era aggravata dai sensi di colpa di essere un peso per sé stessa, per i propri familiari e per la società.

Questo è il pericolo che sta avanzando. Portare le persone più fragili mentalmente, psicologicamente e fisicamente a sentirsi un “peso” e ad augurarsi al più presto di uscire dal tunnel. Un messaggio altamente pericoloso, perché induce le menti deboli a perseguire tenacemente la strada di Zoraya, una forma di subdola manipolazione sociale che induce i sofferenti improduttivi a ricercare la propria soppressione. Allo stesso tempo si include il concetto la auto redenzione pubblica: non può esserci nessuna condanna sociale in quanto la decisione di andarsene è privata e personale, pur indotta indirettamente. E tutelata dalla legge alla stregua di un diritto.

In realtà la condanna verso le leggi dello Stato, che consentono tali forme di eutanasia, ci deve essere, e deve essere ferma e decisa. Nessun percorso, in nessun caso, deve portare all’eutanasia come atto di manipolazione sociali.

Chi è più debole, nella vecchiaia, nella malattia, nella solitudine va sostenuto e aiutato. Non aiutato a sopprimersi. Questa è la vera sfida delle società moderne.

Silvia Castellani

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