L’America oggi è un paese profondamente diviso. Non che non lo sia sin dai suoi albori della propria esistenza. È proprio il più caratteristico elemento gli Stati Uniti: un’unità di intenti e di funzioni di un governo centrale, nella specificità di tanti stati profondamente differenti.
Già la guerra di secessione americana aveva dimostrato quanto potessero essere esplosive le divisioni. Mai risolte dai primi anni della Repubblica. Un’America segregazionista ha convissuto con stati profondamente differenti, caratterizzati dalla religione puritana. Il paese più libertario del mondo, ha anche visto l’intransigenza religiosa più resiliente del mondo occidentale.
Oggi le divisioni che attraversa l’America sono profonde, ma hanno un elemento di fondo che le aggrava.
Tutti addosso a Trump, poiché portatore di una visione manichea nella quale lui rappresentava la vera America e gli altri i nemici dell’America. Lui il nemico dell’ordine costituzionale.
Ma Trump non è stato il primo a fare così
È stato un tratto caratteristico di molte campagne elettorali, che però culminavano con il discorso di accettazione della sconfitta di chi alle elezioni presidenziali prendeva un voto di meno. Il perdente si congratulava e riconosceva il vincitore quale presidente di tutti.
Trump non ha riconosciuto Biden come vincitore, ed a riceverlo alla Casa Bianca il vecchio Zio Joe ha trovato il maggiordomo assunto dalla precedente amministrazione, che dopo poco ha licenziato.
Ora questo può sembrare disprezzabile. Perché la grandezza della democrazia americana si vedeva in tutta la propria maestosità nel momento del passaggio di consegne tra un presidente ed il proprio successore. Può sembrare profondamente disprezzabile l’assenza del presidente uscente all’insediamento del suo successore. E senza dubbio lo è.
La Clinton fece uguale
Ma è successo ancor prima di Trump, che qualcuno non riconoscesse la legittimità del presidente eletto. Ed esattamente proprio a danno di Trump. La signora Hillary Clinton non ha mai avuto la decenza di accettare la sua sconfitta.
Trump, a mio avviso sbagliando, poiché avrebbe potuto segnare con un gesto doloroso, una rivalsa morale, si è comportato nel medesimo modo. Se Trump sconfessa i progressisti come il male assoluto, i progressisti non hanno fatto altro che fare ciò con lui in ogni occasione.
La frattura istituzionale è stata particolarmente dolorosa, poiché sicuramente nella storia americana c’erano già stati momenti di tensione, il riconoscimento della volontà degli elettori era alla base della democrazia.
Al Gore ebbe profonda difficoltà a riconoscere la contestata vittoria di George Bush, ma alla fine, pur non condividendo la sentenza della corte suprema si allineò ad essa e si congratulò.
Nixon riconobbe la vittoria a strettissimo margine e sempre estremamente contestata di Kennedy. Le divisioni del paese hanno ragioni storiche e culturali estremamente profonde. Ma di certo i progressisti non possono guardare dall’alto in basso e pensare che loro in questo non abbiano colpa alcuna. È una responsabilità condivisa e reciproca.
Per ricostruire un senso di unità, tutti dovrebbero anteporre il sistema costituzionale che ha sempre e comunque funzionato per oltre due secoli.
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