La guerra è una gran brutta bestia. E tira fuori grandi atti di slancio, di patriottismo, di amore per la propria terra. Ma questo purtroppo in maniera marginale rispetto al dolore, alla sofferenza, alle atrocità che spesso ne derivano. Genera odio, alimenta estremismo è il combustibile di un fuoco di rabbia che continua a bruciare ed a portare rancori dopo decenni.
Prima di tutto noi europei non dobbiamo in maniera alcuna colpire senza renderci conto che la guerra in Ucraina è una guerra in Europa. Ed una guerra dalla quale l’Europa ha tutto da perdere e ben poco da guadagnare.
E soprattutto l’Europa non deve essere miope, impulsiva e farsi guidare dall’emotività del momento. L’Europa deve prima di tutto pensare a costruire la propria stabilità. Gli odi che si seminano oggi, saranno difficili da sopire domani.
Sia la propaganda inglese che quella tedesca descrivevano la nazione avversa come la patria del male, durante la grande guerra. Per i tedeschi gli inglesi erano tutti dei barbari, cinici e dei depravati. Per gli inglesi tedeschi erano tutti assassini, degenerati privi di ogni scrupolo morale.
Ognuno arrivò a dire che l’altro apparteneva ad una razza maledetta. Peccato che il Kaiser ed il Re d’Inghilterra fossero cugini. Avevamo lo stesso sangue: la famosa regina Vittoria era la nonna di entrambi. Addirittura la famiglia reale inglese decise di cambiare il suo cognome, da Sassonia Coburgo Gotha, proveniente per parte di madre dall’ex regno germanico di Hannover, nel più inglese Windsor. Difficile dire ai tuoi sudditi di combattere una razza maledetta, quando diventa palese che ne porta il sangue il proprio monarca. A guerra finita tanto il popolo quando i governanti dei vincitori volevano farla pagare oltre ogni misura ai vinti.
Mai demonizzare, specialmente nello sport
Ora la condanna per l’invasione dell’Ucraina da parte del governo della Federazione Russa, non può portare alla demonizzazione dei russi in quanto tali. Il popolo non può essere ritenuto responsabile della politica del governo. Il singolo cittadino non deve rispondere degli atti deprecabili di uno Stato.
L’esclusione delle squadre russe dalle competizioni sportive è assurda. Perché lo scopo dello sport dovrebbe essere di riavvicinare.
Se ci sono dei cittadini russi scontenti delle scelte del governo, se il popolo non condivide ciò che fa chi guida lo stato, criteri punitivi riguardo a tutto il popolo non fanno altro che riavvicinarlo al proprio leader.
Dunque tali comportamenti oltre che moralmente sindacabili, sono anche nocivi dal punto di vista degli obiettivi che si vogliono raggiungere.
Gli Stati Uniti hanno dichiarato guerra all’Iraq, all’Afganistan, sono stati quasi vent’anni impegnati in Vietnam. Ma nessuno si è giustamente sognato di escludere da qualche competizione sportiva gli sportivi statunitensi.
Non mi pare che la questione tibetana abbia impedito di svolgere le Olimpiadi a Pechino.
Non possiamo rinnegare le proprie origini
Pensiamo all’allontanamento in questi giorni del grande direttore d’orchestra Valerij Abisalovič Gergiev, colpevole di non aver preso le distanze dal proprio paese. Non è facile chiedere ad un uomo di condannare la propria terra.
Ma non sarebbe assurdo chiedere ad un musicista saudita, pena la sua estromissione, di rinnegare l’imperialismo del suo paese nello Yemen.
Le armi di distruzione di massa in Iraq non si sono trovate, eppure nessuno chiederebbe ad un artista statunitense di prendere le distanze, per poter continuare a fare il proprio lavoro. Come nessuno lo chiede chiesto al momento della guerra.
Ma la cosa che ancora più inquinate, è il fatto che un’istituzione come l’Unione Europea, incapace di schierare un solo soldato, di trovare una linea comune in politica estera, nella difesa si prenda la briga di offrire armi per una guerra nella sua estensione territoriale naturale. Mentre il suo fondamentale obiettivo, che solo Macron sta perseguendo, dovrebbe essere quello di trovare un immediato accordo tra le parti in conflitto.
Non si rende conto forse la signora Ursula che sarebbe più utile una sua pressione diretta con un confronto, invece di lasciarla solo nelle mani presidente francese? Questo non vuol dire, da parte di un politico, mancare di riconoscere l’Ucraina e di condannare la violazione della sua integrità territoriale. Vuol dire guardare al futuro dell’Europa, alla sua necessaria pacificazione per costruire un istituzione permanente e solida.
Una nuovo muro di Berlino significherebbe la fine e la mutilazione costante di ogni possibilità di grandezza per questa o qualsivoglia futura Europa.
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