Le classi subalterne sono quelle che non hanno rappresentanza nella società. Sono quei gruppi sociali che vedono la propria identità condannata all’irrilevanza politica davanti alla storia ed il proprio consenso elettorale inutilizzabile per riformare lo Stato.
L’antico confronto gramsciano tra nord borghese egemonico e sud contadino subalterno è superato. Ma la questione meridionale è ancora forte. Anche il più moderno duello tra politica e antipolitica tra partito e antipartito appare irrilevante.
Oggi egemonica è la classe di coloro che non hanno niente da temere perché al riparo dai rigori del mercato. Dipendenti e pensionati protetti da regole e privilegi, ai quali lo status quo calza a pennello. Classe minoritaria che primeggia grazie alla frammentazione sociale e alla perseveranza al voto.
Una classe che trema
Subalterna è la classe, sfiduciata e diffidente di coloro che hanno molto da temere e da perdere. Imprenditori e dipendenti esposti ai rischi del mercato e privi di ogni protezione. Tra questi addirittura chi non ha neanche più niente da sperare. Chi non ha lavoro e non lo cerca neanche più. Gruppo maggioritario ma che fatica a farsi rappresentare anche perché diserta le urne o finisce preda inconsapevole della politica degli “Scappati di casa”.
Secondo Gramsci il problema esisteva perché lo Stato privilegiava una parte della società. Le cose sarebbero cambiate con un’azione politica a contrasto dello stato egemonico, basata sulla consapevolezza delle classi subalterne. Chi scrive aggiunge che le classi presunte subalterne aspirano fortemente al cambiamento. Lo dimostra il declino dei partiti tradizionali e la repentina affermazione di forti movimenti populisti e antipolitici.
In questo contesto la sfida intellettuale per conquistare e consolidare nel tempo e nella società la vittoria elettorale è nella differenza tra populismo, sovranismo e conservatorismo. La battaglia è nella credibilità. Quella che una destra conservatrice moderna e di governo riesce a dimostrare in Italia e in Europa. Sul consenso elettorale che questa riesce a conquistare e difendere.
I piccoli partiti
A giudicare dai sondaggi preelettorali questo spazio esiste e porterebbe al successo di una coalizione di centrodestra, alle prossime politiche. Il problema sorge nell’allargare il campo ai vari gruppuscoli di centro ma non progressisti. Si rischierebbe che un manipolo di centristi influenzi in modo determinante la coalizione. La linea conservatrice non avrebbe tenuta politica. Il governo vedrebbe impedita la sua azione. La congiuntura si è già verificata con i governi Berlusconi e le conseguenze negative sono state chiare.
Prima la pandemia e ora la guerra hanno compattato le compagini al governo con il loro elettorato di riferimento ma le emergenze passeranno. Il conto da pagare sarà salato e non sarà distribuito equamente su tutti i gruppi sociali. Per allora governi e parlamenti dovranno aver risolto i problemi strutturali più volte riscontrati dall’elettorato. In caso contrario le critiche e l’opposizione prenderanno forza. Ma la vittoria elettorale sarebbe solo parziale.
Il successo deve venire dal coraggio delle idee
Il successo completo viene vincendo la sfida intellettuale, che darebbe solide fondamenta alla vittoria elettorale. Da troppo tempo i conservatori stanno perdendo questa sfida perché non hanno recepito il concetto di egemonia culturale. I conservatori hanno permesso il propagarsi delle idee progressiste in ogni settore della società anche dove governavano. Hanno lasciato che tutto il soft power interno, la cultura in primis, divenisse uno strumento educativo a senso unico progressista. Sono remissivi allo sconvolgimento delle tradizioni con la scusa dei diritti civili. Hanno permesso le “Guerre umanitarie” per sottomissione all’atlantismo. Sono scesi a patti con la questione migratoria sotto il ricatto dei buoni sentimenti. Si sono messi a squadra con lo spendere senza guadagnare, con il consumare senza produrre e con i diritti senza doveri.
Per essere riconosciuti dalla storia invece i conservatori debbono disfarsi del complesso di inferiorità che li attanaglia. Per creare l’Europa dei popoli, istituzioni forti e uno Stato regolatore della società.
Analizzando i risultati elettorali che si sono susseguiti dal dopoguerra è chiaro che la maggioranza degli italiani non è progressista. Esiste quindi un vuoto di rappresentanza per questa maggioranza. Esiste un’Italia maggioritaria, delusa, muta e subalterna messa all’angolo da una minoranza egemone perché padrona dei mezzi di comunicazione e nelle istituzioni.
In natura come in politica i vuoti non esistono. Spetta ai conservatori riempire questo vuoto per governare con solide basi. Un nuovo partito dovrebbe nascere intorno ad un gruppo intellettuale capace di coagulare consenso. Saranno in grado i conservatori di farlo? Sapranno ribaltare l’attuale egemonia culturale dei progressisti… crediamoci tutti ed avremo fatto un passo avanti nella Storia.
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