La nuova spinta dei BRICS: non solo una sfida economica ma anche e soprattutto culturale

La nuova spinta dei BRICS: non solo una sfida economica ma anche e soprattutto culturale.

E’ passata in sordina, appena accennata dai mass media, una notizia di questa settimana che invece ha un interesse rilevante. Il riferimento è al vertice di martedì 24 agosto a Johannesburg in Sudafrica, dove è stata proposta la creazione di una moneta alternativa al dollaro.

Da tempo i 4 paesi considerati emergenti (i cosiddetti BRICs, ovvero Brasile, Russia, India e Cina) scalpitano per avere uno spazio proprio a livello economico in contrapposizione all’egemonia dei Paesi “industrializzati” e in particolare degli Stati Uniti d’America.

All’inizio dell’era Euro, persino la nostra moneta aveva “osato” sfidare il dollaro con le prime transazioni di acquisto del petrolio in Euro.

Immediatamente l’Europa è rientrata nei ranghi appena sono arrivate le prime “saette” di natura economica-finanziaria da oltreoceano con attività “belliche” di forte volatilità delle operazioni in Borsa, nei servizi di investimento e nell’acquisto di titoli sovrani dei Paese aderenti all’Euro. Le tensioni, create ad hoc, hanno convinto il vecchio continente a continuare l’acquisto con la moneta verde.

Problemi simili, anche se non identici nella forma e nella sostanza, sono successi nei Paesi del Sud America dove si sono osservate forti ingerenze politiche, di natura finanziaria e non solo.

I disequilibri (in alcuni casi si parla di disordini) nella struttura economica mondiale sono tali da far presupporre che questa volta il “rischio” di un’introduzione di nuovi assetti finanziari internazionali è reale. Il progetto ha cominciato a prendere forma subito dopo l’inizio della guerra Russia-Ucraina. Al di là dei racconti di morte e distruzione su tv e giornali, il conflitto che si sta consumando in Crimea e dintorni sta creando un terremoto politico e un nuovo assetto nella finanza mondiale.

Gli Stati Uniti d’America (e a seguire l’Europa), vicini alle istanze ucraine, sono fortemente in difficoltà.

Il loro ruolo nel modello di controllo nordamericano – fondato soprattutto sulla leva finanziaria di lungo periodo – si sta scontrando con il nuovo mondo tecnologico e globalizzato. Inoltre le forti tensioni politiche interne agli Usa e l’alto debito pro capite stanno minando le certezze che avevano portato il colosso a stelle e strisce a gestire dal dopoguerra in poi le risorse in tutto il globo. La debolezza (reale o apparente) degli Stati Uniti sta creando nuove prospettive per i Paesi emergenti, forti della loro crescita economica (36% del PIL complessivo) e del loro potere demografico (42% della popolazione mondiale).

Ancor più rilevante è inoltre la crisi di tutte le organizzazioni sovranazionali, che in questi anni hanno contribuito a togliere potere alle singole Nazioni, rendendo ardue le scelte da effettuare nelle diverse realtà. Gli enti sovranazionali sono stati utili per evitare forti confitti (è ad esempio la mission dell’ONU), ma attualmente le loro direttive stanno togliendo potere agli Stati, compresi quelli – come i BRICs – che intendono far sentire la loro voce, forti del peso economico.

Gli organismi internazionali sono composti da Paesi che hanno aderito alla COP 20 (Conferenza delle parti sul clima), alla COP 21, al Fondo monetario internazionale e a tanti altri organismi, ai quali sono stati delegati parte dei poteri dei singoli membri. Adesso tali Paesi sono costretti, in forza di tale delega, a recepire le direttive, con effetti a volte devastanti. Fra questi naturalmente c’è anche l’Italia.

Alcuni esempi?

Le limitazioni previste al parco macchine per la mobilità sostenibile, con le conseguenze che vi saranno per l’industria automobilistica; oppure le politiche sui problemi climatici. Le organizzazioni sovranazionali impongono scelte talvolta assurde, talvolta irrealizzabili in 20-30 anni, se è vero che per transazioni così epocali sono necessari tempi ben più lunghi. E qui viene da chiedersi chi orienta le scelte e perché.

Ecco quindi il tema principale del vertice di Johannesburg: i Paesi cosiddetti “ricchi” stanno decidendo e influenzando scelte economiche di cui a volte non sappiamo con certezza su quali basi poggiano. Bisogna allora prendere atto che l’incontro a Johannesburg dei 4 BRICs – assieme agli oltre 60 Paesi “invitati”, tra i quali Argentina e Arabia Saudita – oltre a gettare le basi per la creazione di una nuova moneta (probabilmente chiamata R5 dai nomi delle attuali valute degli Stati BRICs: real, rublo, rupia, renmimbi più la moneta sudafricana, il rand), ha evidenziato una vera e propria crisi culturale, di cui l’Occidente è responsabile.

E’ una critica all’attuale politica di imposizione nelle politiche, anche rilevanti, internazionali.

Un segnale che, se non riconosciuto in tempo e ben valutato -sotto vari aspetti non solo economici ma anche e soprattutto culturali – avrà conseguenze importanti anche nel nostro Paese. Con buona pace del silenzio dei mass media.

Fonte: Lorenzo Gioli nicolaporro.it

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