Come si traduce Greta in versione pasquale? Pranzo vegano, come ha detto lei stessa. Il gretismo dalle piazze si è spostato sulle tavole pasquali e alimenta la guerra civile dell’Agnello. Da una parte i cultori carnivori della tradizione secondo i quali non c’è Pasqua senza agnello, capretto o affini da mangiare; dall’altra i seguaci della setta planetaria di Gretology, nel nome vegano dell’animalismo e dei diritti degli agnelli. Esenzione totale degli agnelli dai banchetti pasquali, immunità sacramentale del capretto. Che un agnello debba morire di vecchiaia o di malattia e non di banchetto pasquale, è una delle conquiste dovute all’umanizzazione degli animali e alla parallela animalizzazione dell’umanità. Posso capire che qualcuno scelga la via vegetariana; li rispetto, comunque sono fatti loro. Li capisco meno quando vogliono stravolgere tradizioni e processare religioni, generare sensi di colpa collettivi, propagare fanatismi che spezzano il ciclo naturale e la catena alimentare. Personalmente propendo per una soluzione di compromesso: consumate l’agnello pasquale ma di pasta reale. Così l’agnello in carne e ossa è salvo, e il rito dell’agnello pasquale pure. Anche se reputo frustrante per l’agnello non essere più al centro delle attenzioni pasquali, perdere la sua giornata di gloria, anche se finiva in tegame, e tornare a una banale marginalità. A meno che si senta una specie di rifugiato politico, seppur strumentalizzato dal politically correct. Col fastidio aggiuntivo di avere nei convertiti vegani dei concorrenti erbivori.
Ma al di là di Pasqua resta irrisolto un mistero, che è poi un’ingiustizia. Perché se vai al bar trovi il cornetto vegano, se vai al supermercato trovi la linea per i vegani, se vai ai ristoranti trovi cibi per vegani, e invece se sei diabetico non trovi un beato fico? Perché una scelta dietetica, una credenza, a volte una moda, trovano ampio spazio nei nostri negozi e invece una malattia, uno stato di necessità, che riguarda milioni di persone, non trova spazio nella nostra società? Non accampate le ragioni di mercato perché varrebbero anche per il target più vasto dei diabetici. È una scelta ideologica, è un prolungamento dell’ideologia global di Gretology. È il dieteticamente corretto, è il bergoglismo alimentare, è l’animalismo come religione dell’umanità.
Il tema alimentare, come ben sapete, non è marginale ma è centrale oggi. Se giri l’Italia o se giri tra i canali televisivi, ti accorgi di un fenomeno massiccio, pervasivo, esagerato: la schiacciante prevalenza delle mangerie. Non so come altro raggruppare i molteplici luoghi del cibo che si abbattono per le città: pizzerie, kebab, sushi-bar, roba cinese, cucina etnica, street food, focaccerie, paninoteche, gelaterie, forni, ristoranti, trattorie. Appena chiude un negozio, una libreria, spunta subito al suo posto uno spaccio di mangime (per uomini e bestie, la differenza si assottiglia). A far da contorno ci sono quei supermercati aperti h24 dove puoi ricorrere in caso di fame fuori orario, crisi d’astinenza o ipoglicemie notturne. Con alcune perversioni: trovi cibi per cani, gatti oltre che per vegani, ma quasi mai alimenti per patologie reali, non solo diabetici.
Poi vai a casa, fai zapping tra i canali e i programmi con cuochi, gare di gastronomia, guru dell’alimentazione, dilettanti incompetenti, che invadono ogni rete, ti fanno ingrassare già a vista d’occhio, creano indigestione psico-visiva, abbuffate virtuali di cibi e pietanze, più tanta teoria e fenomenologia della panza piena. Anche le conversazioni ormai vertono sui cibi e sui ristoranti migliori, o come contrappasso, sulle diete e la forma fisica. E’ sorta persino una temibile setta, i crudisti.
Impressiona girare per le vie del centro storico romano, tra magnifiche chiese, antichi templi e rovine sacre e trovare odori di fritto, effluvi di ketch-up, file mangerecce. E per attirare i turisti ai ristoranti esposizioni di carbonare senza tempo, pizze imbalsamate, cofane di fettuccine ridotte a installazioni d’arte grassa… Le strade grondano di colesterolo, non c’è angolo che non sia farcito da sacche d’adipe e sacchi d’immondizia, che poi sono in larga parte gli stessi cibi post mortem. Nel centro storico i rifiuti dei b&b selvaggi sono seminati per strada, in una specie di Digestione Corale, di Evacuazione turistica di massa. E bottiglie, bottiglie dappertutto, e lattine e rottami di pizze e cartoni che le contenevano. In isconto dei peccati di gola sorgono ovunque palestre e centri per riacquistare la forma o meglio per smaltire grassi ed essere pronti a ricaricarsi di cibi. Così il ciclo è completo e paghiamo due volte, per abbuffarci e per dimagrire, riducendo la vita a un corridoio tra la cucina e il cesso, una casa ridotta a tubo digerente. La bulimia è pianificata a livello commerciale e rende gastro-dipendenti. Poi vi lamentate dell’obesità crescente, dei corpi sformati. Sono saltati sia i valori spirituali che quelli clinici. Scende il decoro, salgono i trigliceridi. Dall’etica alla cotica.
C’è un nesso tra questo magna-magna generale e il degrado urbano e morale, la corruzione politica e sociale, il rincoglionimento tele-web del nostro paese? C’è parentela tra l’abbuffarsi come imperativo avido di massa e l’assenza di passato e di futuro che ci connota, c’è una relazione tra fast food e reset mind (tradotto in napoletano: panza piena e capa vacante)? La caduta di Roma antica avvenne tra banchetti e indigestioni, mangiare, vomitare per rimangiare, grassezza mezza bellezza. Le magnate piegarono i romani più dei barbari. Ora ci risiamo. Mai come in questo caso Roma è lo specchio e la gigantografia dell’Italia, la Capitale del Prodotto Interno Lardo. Roma passò dai Sette Colli ai Quattro Formaggi. Ma la coscienza dell’umanità è salva grazie ai vegani. Il futuro per Greta è solo un passato di verdura.
MV, La Verità 21 aprile 2019