La riduzione dei parlamentari è un cavallo di battaglia del Movimento 5 stelle. Con alcune varianti era prevista anche nella riforma costituzionale Renzi, bocciata a suo tempo nel dicembre 2016.
Il referendum confermativo senza quorum
Il 20 e 21 settembre si voterà il referendum confermativo sulla riforma costituzionale.
Essa prevede il taglio di 230 seggi della Camera su 630 e 115 del Senato su 315: in caso di approvazione, il numero dei parlamentari scenderà a 600.
Trattandosi di un referendum confermativo, non c’è quorum, non è prevista cioè una percentuale minima di partecipanti per rendere valido il risultato.
L’emergenza Covid-19 ha reso necessario il rinvio a settembre, nei giorni in cui gli italiani saranno chiamati alle urne anche in sette regioni (Veneto, Campania, Toscana, Liguria, Marche, Puglia e Valle d’Aosta) e in 962 Comuni.
Questo sarà il quesito sulla scheda: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n.240 del 12 ottobre 2019?».
Il riferimento è alla legge passata in quarta lettura a Montecitorio lo scorso ottobre con 553 voti a favore, 14 contrari e due astenuti.
Nello specifico, il nuovo assetto contempla 400 seggi alla Camera e 200 al Senato, più un numero massimo di cinque senatori a vita (finora 5 era il numero massimo che ciascun presidente poteva nominare). Ridotti anche gli eletti all’estero: i deputati scendono da 12 a 8, i senatori da 6 a 4.
Al Pd la sola riduzione non basta
«Il taglio dei parlamentari da solo non basta»
Nicola Zingaretti ha sottolineato come sia necessario che la riforma «coincida anche con una difesa delle istituzioni democratiche» e ha richiesto quelle «modifiche regolamentari» concordate a suo tempo con il M5S. Luigi Di Maio solo qualche giorno fa aveva garantito:
«È solo l’inizio di un percorso».
È chiaro a tutti che il risparmio per la riduzione di onorevoli e senatori sarebbe una goccia nel mare magnum del bilancio dello Stato, e non è quello che importa alle forze politiche di governo.
Allora quale è il vero fine di tutto questo?
Sul tavolo ci sono anche tre disegni di legge costituzionali.
Li hanno presentati Leu, con il senatore Federico Fornaro, e il Movimento, con Brescia.
Propongono di cancellare le distinzioni «anagrafiche» tra le due Camere: abbassare a 25 anni l’età minima per essere eletti e a 18 anni quella per votare per il Senato, come è per la Camera.
E di superare l’elezione «su base regionale» del Senato (oggi prevista espressamente dalla Costituzione, all’articolo 57) .
Anche questo potrebbe «correggere» la rappresentanza tra i territori.
Tra i nodi da affrontare c’è quello dei delegati regionali.
Il loro numero, fondamentale per quanto riguarda l’elezione del Presidente della Repubblica,dovrà essere rivisto, riequilibrando il rapporto numerico tra parlamentari e delegati stessi: al momento la Costituzione prevede tre delegati per ogni Regione eccetto la Valle d’Aosta (articolo 83 della Carta).
I regolamenti parlamentari
Altro correttivo reso necessario dalla riduzione di deputati e senatori è quello che riguarda i regolamenti parlamentari e la loro revisione.
Negli ultimi mesi, infatti, s’è aperto un dibattito su come affrontare il nodo delle commissioni. Al momento i parlamentari sono suddivisi ciascuno in commissioni di competenza.
Con il taglio si aprono tre vie su cui si sono scontrate le forze politiche : una riduzione del numero dei membri per commissione, una riduzione delle commissioni stesse o uno «sdoppiamento» dei parlamentari in diverse commissioni.
Ma non è questo ciò che preme alla maggioranza sempre più instabile e a rischio
Il vero nocciolo della questione è che riducendo il numero dei parlamentari va ridisegnata la composizione dei collegi. E da lì ridiscutere la legge elettorale è quasi conseguente.
Una ennesima versione della filosofia gattopardesca del cambiare tutto per non cambiare nulla.
Nuovi collegi e nuova legge elettorale per non farci votare, ed eleggere il Presidente della Repubblica
Questo è il vero fine: non votare, anche e soprattutto all’indomani di una sconfitta annunciata per i partiti di non- maggioranza che sono immeritatamente al governo del Bis Conte.
Quello che abrogandone i provvedimenti disconosce il Capo del Governo precedente Lega Movimento 5 Stelle, cioè lui stesso.
Il trucco, la polpetta avvelenata è servita: il popolo, pochi sicuramente per paura del Covid ma tant’è, il quorum non è richiesto, andrà a votare contro la partitocrazia ed otterrà come al solito l’effetto contrario.
Una nuova legge elettorale sarà attagliata al Pd e company, intrisa di proporzionale e approvata in tempo biblici per permettere di arrivare alla elezione del Capo dello Stato con la attuale non-maggioranza.
Già, la legge elettorale: l’accordo tra tutti i partiti della non-maggioranza — siglato all’inizio del 2020 — aveva dato il via libera a un proporzionale con sbarramento al 5%, il «Germanicum», depositato in Parlamento dal 5 Stelle Giuseppe Brescia. Questo sistema di voto, a detta dei promotori, avrebbe ridato equilibrio al peso territoriale di alcune regioni che sarebbero state svantaggiate dal taglio dei parlamentari, soprattutto dei senatori.
Ancora una volta un trucco per rimanere ai posti di potere, cerchiamo di non farci raggirare.
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