RdC – Modificare il reddito di cittadinanza è necessario. Non si tratta di abolirlo, anche perché sarebbe impossibile privare improvvisamente di un sostegno economico chi giace davvero nella necessità e non può lavorare. Ma serve ripensare nel profondo questa misura. Il tutto con un approccio pragmatico che consenta un progressivo superamento dell’attuale meccanismo di funzionamento.
Oltre a ciò, ovviamente, occorre anche potenziare i sistemi di controllo che impediscano ai furbetti di fruire di una misura cui non avrebbero diritto, come purtroppo la cronaca ormai quotidianamente riporta.
Cosa dicono i dati sul RdC
I dati ci dicono che nei primi nove mesi dell’anno sono stati erogati circa 6 miliardi di euro tra nuclei familiari e singoli. L’importo medio è di € 580,00=/mese. I nuclei familiari interessati sono circa 1,5 milioni per un totale di circa 3 milioni di soggetti coinvolti. Fra gli ottocento e i novecento mila percettori però sarebbero occupabili. E, infine, il costo totale della misura dalla sua introduzione ad oggi, si aggira attorno ai 25 miliardi.
Un quadro sostanzialmente insostenibile che, quindi, va modificato ancorché progressivamente.
La proposta Durigon
La proposta Durigon sembra andare in questa direzione, senza forzature o strappi ma verso una modifica a tappe che tuttavia dovrà scontrarsi con i tradizionali limiti del nostro sistema industriale.
In detta proposta, si indica un limite temporale in cui verrà percepito il Rdc (di fatto, nelle forme attuali) indicato in 18 mesi.
Al termine di tale periodo, se non si è trovato lavoro, seguirà un periodo di 24 mesi in cui il percettore verrà inserito in un processo di formazione per imparare quelle mansioni maggiormente richieste dalle aziende (anche se nuove e diverse da quelle sempre svolte).
Perché il paradosso è che mentre la disoccupazione sfiora livelli altissimi – soprattutto a livello giovanile – al contempo vi sono imprese che offrono lavoro ma non incontrano domanda.
Nei 24 mesi “post RdC” i formandi percepiranno una indennità a carico del Fondo Europeo per la ricollocazione e, qualora non abbiano ancora trovato lavoro al termine della formazione, accederanno nuovamente al RdC ma tagliato del 25%.
Al contempo, si riduce a una la possibilità di rifiutare un’offerta di lavoro (attualmente sono due), pena la perdita del RdC. Si segnala a questo riguardo la necessità anche di rivedere anche i parametri per ritenere l’offerta “congrua” , altro elemento che il Governo sta cercando di modificare.
Certamente non potrà essere considerata “congrua” un’offerta a basso salario, a turni massacranti, magari eccessivamente lontana dalla residenza o domicilio.
Quali difficoltà potrebbe incontrare
Questa in sintesi la proposta del sottosegretario che – bisogna dirlo- pare davvero una buona base di partenza per segnare un superamento progressivo dell’attuale sistema di erogazione. In parole semplici, beneficio alle casse dello Stato senza, al contempo, penalizzare improvvisamente ed eccessivamente i percettori della misura.
Certo, si tratta di una proposta che deve fare i conti con le tradizionali difficoltà che il nostro sistema industriale manifesta da decenni circa il rapporto tra formazione e lavoro soprattutto in certi campi. Sarà altresì richiesta una prova di maturità da parte delle parti sociali. Queste, infatti, dovranno lavorare nell’ottica di una sinergica cooperazione. Dovranno finalmente cessare di difendere le proprie posizioni come fortini inespugnabili e iniziare a rappresentare effettivamente lavoratori e imprese.
Conclusioni e suggerimenti
AL contempo per far funzionare, in ottima sistemica, le modifiche sopra sinteticamente tratteggiate il Governo dovrà introdurre sensibili incentivi alle imprese che formano e assumono e, al contempo, utilizzare il quantum risparmiato per misure concrete d taglio del cuneo fiscale o comunque di misure che non comportino egualmente un extradeficit (altrimenti il tutto si tradurrebbe una sciocca partita di giro senza alcun beneficio).
Speriamo!
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