Da qualche giorno è entrata in vigore la riforma Cartabia della Giustizia. Riforma voluta dalla Comunità Europea e finanziata con i soldi del PNRR che ha l’obbiettivo di ridurre i tempi dei processi in Italia. Un riforma ampiamente e giustamente criticata sia dalle principali Associazioni Avocati, che dall’Associazione Nazionale Magistrati. Diverse sono le incongruenza che questa riforma presenta al suo interno, incongruenze che per gli addetti lavori non porteranno la riforma a raggiungere gli obbiettivi prefissati anzi.
Come spesso è accaduto in passato, siamo alla decima modifica nel corso degli ultimi 15 anni, il legislatore si è concentrato esclusivamente sulle regola processuali, stravolgendole ancora una volta, credendo che fossero quelle la causa del eccessiva durata del processo. Niente di più sbagliato.
Tempi di attesa
Il vero problema della giustizia sono la carenze di personale sia in termini di magistrati, che in termini di personale amministrativo. Tanto che la maggior criticità in fatto di durata del processo è rappresento dal tempo di attesa. Finita l’istruttoria della causa, per arrivare alla sentenza, possono passare anche in anni. Ciò è dovuto essenzialmente dalla mancanza di organizzazione strutturale degli uffici giudiziari e dalla carenza di personale.
Su questo punto la riforma non interviene, in quanto non prevede termini perentori imposti ai Giudici per depositare la sentenza. Né riorganizza gli uffici in termini di risorse umane e strutture. Al contrario invece si agisce sulla sulla riduzione dei termini di difesa, penalizzando cosi l’accesso al processo dei cittadini e la difesa tecnica. Principio tra l’altro garantito dalla nostra Costituzione.
I termini perentori e l’esigenza di celerità sono stati imputati tutti alle parti ed a loro difensori, non capendo che vince il problema della eccessiva durata dei processi. Che risiede nella carenza organizzativa degli uffici giudiziari.
Processo civile telematico
La riforma Cartabia introduce anche delle novità che andranno ad implementare il processo civile telematico. Ma senza intervenire prima sugli applicativi informatici, che sono inadeguati rispetto alle tecnologie di oggi. Si rischia di andare incontro ad un rallentamento del sistema.
Non è nemmeno un problema di risorse economiche; dati ci dicono che in realtà l’Italia non spende meno risorse per la giustizia rispetto alla media europea. È però vero che il personale a disposizione (giudici, PM e staff amministrativo) è inferiore alla media UE. Mentre (sia pure con i caveat richiesti dalla incompletezza delle affermazioni) le retribuzioni pro capite di giudici e pubblici ministeri sono più elevate che all’estero in rapporto al salario medio nazionale.
Le spese amministrative
I dati Eurostat sulla spesa per “Law Courts”, cioè per il funzionamento dei tribunali, indicano che l’Italia spende mediamente per i propri tribunali lo 0,33 per cento del Pil (5,8 miliardi di euro), in linea con la media UE. Anche la Spagna ha speso lo stesso ammontare in rapporto al Pil (0,34 per cento), la Francia leggermente meno (0,24 per cento) e la Germania poco di più (0,39 per cento).
A prima vista non sembra quindi che la nostra spesa sia anomala e tale da giustificare la lentezza dei nostri processi. Pertanto quello che emerge dai dati Eurostat e Cepej è che complessivamente l’Italia non spende meno risorse per la giustizia rispetto alla media europea, ma ciò nonostante il personale a disposizione è decisamente inferiore alla media. Questo sembra dipendere dal fatto che in Italia i giudici e i pubblici ministeri, pur essendo relativamente pochi, guadagnano di più che all’estero in rapporto al salario medio nazionale.
In sostanza questa è una riforma che ha l’obbiettivo, nemmeno tanto nascosto, di allontanare le persone della giurisdizione, favorendo un sorta di giustizia privata, rappresentata della mediazione: strumento assolutamente necessario per derimere un certo tipo di controversie. Ma la mediazione per adempiere correttamente alla sua funzione, deve inserirsi in un contesto in cui il processo funzioni e deve essere un strumento complementare e non meramente alternativo. Altrimenti si rischia il default della giustizia, che è proprio quello che questa riforma vorrebbe evitare.
Tutto questo avverrà, dicono gli Avvcoati ed i Magistrati con un comunicato congiunto: “a danno di cittadini e imprese i quali, oltre a non vedere tutelati i loro diritti in maniera soddisfacente, ne subiranno tutto gli effetti sociali ed economici negativi”.
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