La sfacciataggine del silenzio
Dipartimento di Scienza e Ricerca dell’università Azad di Teheran, la quinta università più grande del mondo, oltre dieci volte il numero di iscritti dell’Università Sapienza di Roma, un milione e ottocento mila anime; vige la legge islamica: tutte le femmine indossano l’hijab, stretto, ordinato, invalicabile.
La polizia morale, گشت ارشاد, gašt-e eršâd, vigila, controlla, redarguisce affinché la Shari’a sia rigorosamente rispettata
E’ così dal 1981; le vittime dei trattamenti e delle punizioni è lunga, in molte hanno perso la vita ma i casi di
Mahsa Amini, turista arrestata all’ingresso dell’autostrada Haqqani dalle Pattuglie dell’Orientamento il 13
settembre 2022 e morta tre giorni dopo senza mai essere rilasciata, e di Armita Geravand, studentessa curda
con cittadinanza iraniana che, il 1º ottobre 2023, entra in coma e muore dopo un ‘controllo’ della medesima
polizia nella metropolitana della stessa città, fanno più rumore degli altri.
Forse per la maggior diffusione di notizie ed immagini (intralci della globalizzazione), forse perché le
coscienze su smuovono al cominciare della vita (a quarant’anni), forse perché il limite della rispettabilità umana ha una data di scadenza e un periodo di incubazione ben studiati, il vociare delle proteste si innalza per giorni al montare dei casi e dell’indignazione.
Cortei
Critiche internazionali. Richieste di un’indagine indipendente sulla causa del suo Stato. “Donna, vita, libertà” è uno slogan sulle bocche di tante donne e
uomini in Iran, in Afghanistan, in Francia, in Italia.
Siamo tutti indignati.
E chi non lo sarebbe?
C’è poi chi è indignato più degli altri, chi si definisce guerriero o guerriera del femminismo (ad una buona distanza di sicurezza), chi difende le culture e le loro manifestazioni qualunque esse siano (perché in fondo ogni luogo ed ogni popolo ha le sue stranezze), e chi invece si chiude nei suoi populismi, bardato di
razzismo e superiorità, nella speranza (mal celata) che anche terremoti, batteri e ghepardi conoscano le parole ‘confine’ e ‘nazionalità’.
Poi il carnevale termina, la sera incombe, ognuno recupera il proprio volto
dismesso, e abbandonando la propria maschera e il proprio elmo di paladino sul cuscino si scorda della
propria morale, del proprio coraggio, dei propri princìpi, ma senza nessuna particolare vergogna perché
domani è sempre pronto un nuovo caso in cui la sfacciataggine della parola e di una nuova educazione da
doppia morale (una per i comportamenti degli altri, l’altra per i propri), saranno ben amplificati; finché almeno fa notizia.
Quando il rumore non fa più notizia urge il silenzio. Che a ben vedere è il più sfacciato di tutti i modi di essere ipocriti. Ma si tace per molti motivi: perché oggi il wi-fi funziona, perché si è impegnati con le università, perché i sondaggi chiedono una sotto-esposizione.
Anche il silenzio può essere un atto di coraggio, ne abbiamo ben coscienza; gli eroi silenziosi fanno gesti più grandi delle parole
Quando la parola è flebile
non rimane che il gesto. Ma gesti di questi eroi del giorno dopo, e non troppo, ne restano pochi.
Il gesto di Ahoo Daryaei, studentessa al Dipartimento di Scienza e Ricerca dell’università Azad di Teheran, in questo novembre 2024, fa invece eco e rumore. Abbiamo nei giorni della sua sparizione, scoperto che la ragazza, inizialmente ripresa dalle guardie di sicurezza universitarie perché non indossava il velo
islamico in modo appropriato, e poi arrestata dalla polizia morale e rinchiusa in un ospedale psichiatrico, era
affetta da problemi mentali.
Una studentessa di scienze universitaria con grosse labilità psichiche e mentali
“Non ha osservato l’obbligo sul velo e ha infranto la legge. Il suo ricovero è giustificato”. Pacatamente afferma il Ministro iraniano della Scienza, Hossein Simai Saraf.
Amnesty International, afferma di avere le prove che il regime iraniano utilizza elettroschock, tortura, percosse e medicinali contro i manifestanti e i detenuti politici ritenuti “mentalmente instabili”.
Il silenzio di Ahoo Daryaei (neppure sappiamo se sia il suo vero nome), che percossa e ripresa per il suo modo di indossare il velo, si spoglia dei propri vestiti è un gesto, è un proclama, è coraggioso
Nella immagini che sono giunte fino a noi la si vede fieramente mostrare il corpo che la Legge le impone di rinchiudere, sacrificare, obnubilare. Ha perso la vita, per questo?
Ma questo silenzio sfacciato, che urla di “gesta”, e non “gesti”, contro le imposizioni medievali di un
regime, non ha la stessa impudenza priva di vergogna di chi adesso, invece, tace, o quando parlerà, lo farà
da un trono di lusso e ideali da élite di snobismo culturale.
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