La sinistra torna all’attacco con lo ius soli!

La sinistra torna all’attacco con lo ius soli!

La proposta di lanciare un nuovo – ennesimo – referendum proviene dal leader di + Europa, Riccardo Magi, il quale vorrebbe l’abrogazione della Legge 91/1992 nella parte in cui prevede che la cittadinanza per ius soli la si acquisisca dopo al compimento dei 18 anni per lo straniero che abbia soggiornato regolarmente in Italia sin dalla nascita e senza interruzioni.

Attualmente questo sistema è l’unica apertura che il legislatore del 1992 aveva fatto rispetto a un sistema invece ispirato quasi totalmente al principio dello ius sanguinis (si è cittadini italiani solo se almeno uno dei due genitori è italiano) o al diritto per residenza continuativa

La proposta di Magi ha subito compattato la sinistra – dalla Schlein a Fratoianni a Bonelli – attorno a questa battaglia che, tuttavia, a giudicare dalle parole dei leader rischia di divenire più ideologica che altro.

Diverso – e più sensato – è l’approccio del Movimento Cinque Stelle che invece parla di ius scholae

Tuttavia, il dibattito a sinistra si è orientato non tanto sul contenuto della proposta giudicato scontato, ma sulle modalità per raggiungere l’obiettivo (cioè se la via più giusta sia o meno il referendum abrogativo). La riflessione è quella relativa all’ingolfamento referendario tenuto conto dei quesiti sul job act promossi dalla CGIL e quello contro l’Autonomia Differenziata, promosso dai progressisti contro la novità presentata dal Governo Meloni.
Già questo dimostra che la modifica prospettata ha un carattere più ideologico che concreto e attento a diritti degli interessati.

Chi scrive non è affatto contrario a una revisione della normativa sulla cittadinanza, effettivamente vetusta e da aggiornare, ma occorre una riflessione seria e profonda su che cosa sia la cittadinanza e sui modi per ottenerla, senza fare concessioni a facili slogan propagandistici o, peggio, all’utilizzo strumentale a scopi ideologici.

La cittadinanza segna un legame profondo con la Patria da intendere non solo come “terra dei padri” ma anche come terra su cui immaginare il proprio futuro nel connubio inscidindibile fra diritti e doveri

Insomma, non chiedetevi cosa l’Italia può fare per voi, ma quello che voi potete fare per l’Italia – parafrasando una celebra frase di John F. Kennedy.

La sinistra, invece, pare iclinare solo sulla prima parte dell’equazione, del tutto trascurando la seconda, ossia il dovere morale verso la Nazione.

E allora, se sono vere queste premesse, è evidente che il tema non è solo se la modifica va realizzata con referendum piuttosto che con legge, quanto piuttosto il contenuto specifico delle modifiche e quale criterio vogliamo adottare affinché si sviluppi (o meglio, sia più facile sviluppare) questo legame antropologico con la Patria dei nuovi aspiranti cittadini.
L’amputazione referendaria dell’obbligo di permanenza sul suolo nazionale fino ai 18 anni e del conseguente limite di età per l’ottenimento della cittadinanza aprirebbe infatti la via all’applicazione dello ius soli, sic et simpliciter.

Ciascun nato in Italia sarebbe italiano, indipendentemente dal contesto

La conseguenza è che un bambino nato sì in Italia, ma del tutto digiuno di un minimo di conoscenza della Nazione (dalla lingua, alle tradizioni, al nostro sistema-paese) si ritroverebbe poi a esercitare gli stessi diritti e ad assoggettarsi agli stessi doveri di qualsiasi altro italiano. Una via che rappresenta una scommessa sul futuro di quello stesso bambino e della Nazione stessa. Una scommessa che probabilmente non è il momento di perseguire in modo così totalizzante. Perchè se da un lato, coloro i quali propugnano questa soluzione estrema ritengono che ciò agevolerebbe l’integrazione, è pur vero che questo assunto è tutto da dimostrare.

E, tenuto conto del tipo di immigrazione che abbiamo oggi e della scarsa propensione all’integrazione di buona parte degli immigrati non è una scommessa che potrebbe essere vinta agevolmente

Anzi, al contrario, i rischi sarebbero quello di creare ghetti di italiani in senso formale ma del tutto scollegati con la sostanza.

Di converso, forme intermedie di concessione della cittadinanza che tengano conto del reale grado di integrazione dello straniero servirebbero maggiormente a cogliere il senso profondo di che cosa significhi essere cittadino italiano.

Per questo, la forma dello ius soli temperato in particolare dal numero dei cicli di studio compiuti dallo straniero in italia, potrebbe essere la via più corretta per favorire una reale effettiva integrazione.

Ad esempio, due cicli di studio (elementari-medie, o medie-superiori) sarebbero un buon compromesso per cambiare la disciplina attualmente vigente

Una forma di ius scholae che garantirebbe anche sulla qualità dell’apprendimento delle nozioni basilari della cultura italiana.

Insomma, possibile che un immigrato che aspira alla cittadinanza possa ignorare un minimo di storia patria, di lingua italiana o di funzionamento dello Stato?

Insomma, pare il minimo richiedere un minimo legame tra il cittadino e la propria nazione (invero anche per molti italiani di nascita) poiché è vero che la Patria è di chi la ama, ma è pur vero che questo amore va minimamente dimostrato proprio affinché la cittadinanza sia un diritto e non un privilegio, o peggio un capriccio.

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