Ma davvero la madre scellerata di tutti i nostri guai è la stampa, come dice il duo Dibba-Dimma, più coro di grilli e di cicale? Troppa grazia, troppa importanza al mondo malefico dei Media. Però al di là dei toni, delle esagerazioni e delle parole usate, e forse al di là della vicenda Raggi che è stata attaccata soprattutto per come è ridotta Roma, c’è nell’anatema dei 5stelle un fondo di verità e lo specchio di un’opinione assai diffusa nella gente. Mediamente la stampa è inattendibile ed è percepita come venduta, prostituita, manipolata. Anche il regno delle fake news nasce come reazione, risposta e frutto delle fabbriche del falso a mezzo stampa, cioè delle campagne di falsificazione programmata, per infangare e discreditare gli avversari (da Trump a Salvini, per dire dei primi obbiettivi), o per imporre storie, linguaggi, temi strettamente attinenti a quel manuale del perfetto ipocrita che è il Politically correct.
C’è un fondo di ragione, dunque, nelle accuse dei grillini alla stampa. Ma con due precisazioni. La prima è che anche sui temi dell’informazione, come su altri temi cruciali, i grillini non rappresentano l’alternativa ma la sua caricatura.
Il loro populismo nasce in modo sacrosanto, per rappresentare le ragioni, gli interessi, le passioni di un popolo tradito, abbandonato, inascoltato. La loro lotta contro il torbido mondo degli affari dietro le gestioni pubbliche, gli appalti, gli interessi dei pescecani, degli speculatori, delle grandi aziende farmaceutiche, è sacrosanta nella sua genesi ma diventa grottesca nel suo svolgimento. Finisce con l’essere un’accusa generica, apocalittica e pregiudiziale – proprio come quella che essi rimproverano oggi ai critici della Raggi – che diventa ancor più caricaturale quando propone soluzioni alternative, tra rimedi peggiori dei mali e vendicatori che riescono a far rimpiangere perfino i malfattori predecessori. La necessità di combattere contro i potentati, di dare trasparenza, di rinnovare e ringiovanire gli apparati, di portare l’aria fresca e nuova, strada facendo si traduce in un magma e in uno spettacolino, dove si oscilla tra la simulazione dei cambiamenti e il puro disastro degli interventi. Lo vediamo a livello di governo come a livello locale, col duo Appendino-Raggi. Le migliori intenzioni si capovolgono nei peggiori risultati. E la legittimazione a governare che deriva loro oltre che dal voto, dal fallimento dei precedenti governi, si perde appena si mettono all’opera e tentano di realizzare le loro promesse. Riescono solo nella pars destruens, quando si tratta di dire di no a nuove opere o imprese, o quando si tratta di colpire, punire categorie ritenute privilegiate, appagando la sete di vendetta, invidia e rancore diffusa nel paese. Ma poi il resto è una frana…E quando si tratta di criticare i media, i grillini non li attaccano per le falsificazioni del politically correct, a cui passivamente aderiscono, ma solo perché maltrattano i loro esponenti.
E qui veniamo al punto della stampa. Sacrosanta la critica, dicevamo, vera l’accusa sulle campagne diffamatorie o apologetiche di censori e incensatori che elevano a monumenti tanti palloni gonfiati. Ma sotto sotto c’è una guerra a priori contro tutto ciò che è informazione, documentazione, cultura, istruzione. E le stesse accuse della gente ai giornali e l’orgogliosa professione di non leggerli e non comprarli, non si spiega solo con l’indignazione per la scadente qualità dei giornali e la più scadente attendibilità. Ma spesso sono l’alibi della propria ignoranza presuntuosa, della non voglia di acquistare e leggere un giornale come un libro, della tendenza molto “social” a giudicare il mondo senza conoscerlo e tantomeno capirlo, del rifiuto della fatica di studiare prima di affermare delle tesi o di infangare delle persone.
C’è una fetta di popolo, piuttosto larga, che si rispecchia nel gruppo dirigente grillino proprio per questa attitudine al disprezzo nel nome della santa ignoranza. Ce l’hanno con la “stampa di lorsignori” come il proletariato socialista ce l’aveva con la “patria di lorsignori”. È cosa vostra e noi la disprezziamo. Ma un conto è criticare i giornali, un altro è barricarsi nell’ignoranza di non-lettori. Un conto è sceglierli, selezionare le firme e le testate, o contestarne altre, incalzarle, un altro è ridure il tutto a una massa indifferenziata – “è tutto un Puttanaio” – un Troiaio Universale, come direbbero i miei amici maremmani, e così esimersi dalla fatica di distinguere, di documentarsi, di capire. A volte peggio dei giornali e dei giornalisti ci sono le plebi rancorose che non leggono e i loro impresari politici dell’ignoranza militante.
MV, Il Tempo 12 novembre 2018