Il Partito Democratico sicuramente da molti anni subisce una profonda crisi di identità. È un partito che per tanti aspetti rappresenta l’interesse di poteri forti, di circoli culturali radical chic lontani dal popolo e dalle tradizionali battaglie in favore dei diritti dei lavoratori. Molto spesso i diritti civili sono diventati il nuovo baluardo con cui cercare di avvicinare fasce di elettorato importanti, ricreando un’identità della sinistra basata soprattutto su questi ultimi. Un’operazione essenziale per cercare di mantenere una coalizione alternativa al centrodestra con un’anima profondamente di sinistra che tenga insieme Leu e Cinque Stelle.
Ovviamente per funzionare, oltre ai diritti viene sempre ribadito pomposamente l’antifascismo. Ormai sbandierato più per preservare una posizione di rendita, piuttosto che per il pericolo che possa riproporsi un fascismo in Italia, ed una certa retorica terzomondista. Tutto questo serve a far dimenticare che sui diritti sociali la sinistra ormai è indietro.
Anzi dove amministra, spesso si sono verificate le peggiori crisi aziendali della storia del paese. Non a caso un improbabile moderato come Enrico Letta ha cercato di accreditarsi come leader di sinistra. Sbandierando battaglie come ius soli ed il DDL Zan, finite con il naufragare proprio perché lanciate solo con fanatismo ideologico invece che con lungimiranza politica.
Ora Letta si trova davanti a due strade dopo gli ultimatum di Renzi e dopo che ha scelto di politicizzare la propria candidatura sul collegio di Siena.
O sfidare l’ex rottamatore e tentare senza di lui rafforzando l’asse con i Cinque Stelle; oppure siglare una pace definitiva con Renzi.
O Draghi o Conte
Matteo Renzi è stato molto chiaro o Conte o con Draghi che tradotto suonerebbe come: o noi o loro.
Non è un vero e proprio divorzio. Perché non ha detto che bisogna scaricare ufficialmente i pentastellati, ma sa anche bene che i grillini non ci stanno alle politiche di Matteo Renzi.
Letta con Renzi sicuramente non si trova bene. L’Enrico stai sereno non glielo ha mai perdonato. Probabilmente tutta quell’ala che fa capo storicamente alla segreteria di Pierluigi Bersani, passando per quella di Zingaretti, cova un rancore profondo verso Renzi. Tanto da aver messo l’unico moderato a capo del partito che covasse lo stesso rancore ed evitasse di cercare una riconciliazione.
Ma il problema non è solo ed esclusivamente di simpatia o antipatia personale. Il fatto sta anche nella qualità del personale politico col quale ci si allea.
In un’alleanza di pura sinistra con Leu e pentastellati e senza Italia Viva, il Partito Democratico la farebbe comunque da padrone.
In primo luogo perché comunque preserva una classe dirigente. In secondo la nullagine dei pentastellati è politicamente una manna dal cielo per un PD che preserverebbe il ruolo di guida nella coalizione. Con Renzi Letta dovrebbe sempre fare i conti, con i pentastellati si imporrebbe.
Poi si pone un problema di natura personale. Il segretario di un partito non può permettersi di essere sconfitto in un collegio uninominale. Senza i pentastellati Letta rischia grosso. Senza Renzi comunque rischia. Ma il problema è che in un vicolo cieco e probabilmente non riuscirà ad avere botte piena e moglie ubriaca.
Questo Renzi lo sa molto bene e probabilmente quell’ultimatum è stato lanciato proprio perché inaccettabile.
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