Da una vita e forse più, l’italiano medio, grande e piccolo, sportivo e no, riceve bacchettate sulle mani, tirate d’orecchi e pubblici rimproveri da una maestrina pignola e petulante che sembra avercela in modo particolare con noi. La maestrina inglese ci sottopone a un infinito esame per concludere quasi sempre con una bocciatura seguita da una umiliante gogna internazionale.
L’ultima bacchettata della maestrina inglese, come sapete, è stata un fallo di reazione, perché stizzita dalla vittoria italiana agli Europei. I calciatori inglesi che poco sportivamente si tolgono le medaglie di secondi, i principi che poco regalmente sgattaiolano fuori dallo stadio Wembley per non festeggiare l’Italia, i tifosi inglesi che barbaramente fischiano l’inno italiano… Eppure, per una volta almeno, gli italiani non hanno rubato nulla, hanno dominato la partita e seppure ai rigori hanno meritato di vincere. Ma la reazione della maestrina inglese sul calcio è solo l’ultima: da anni storici e giornalisti, economisti e gentleman britannici ci massacrano sui libri, nei giornali, in tv, con uno sprezzo che a volte rasenta il razzismo. E non c’entra la Brexit né Boris Johnson che parla pure l’italiano e conosce il latino.
Financial Times, Economist e Guardian ci spellano periodicamente
Ora il Financial Times, ora l’Economist e il Guardian ci spellano periodicamente e e tanti storici e intellettuali lanciano palate di letame sulla storia d’Italia, dal risorgimento in poi, da Denis Mack Smith a Richard Lamb a Jasper Ridley, da Paul Ginsborg a Christopher Duggan, da Paul Preston a Robert Mallet. Chi in modo soft chi in modo brutale, ci corrono d’insulti. Ma peggio di loro sono i giornalisti, di cui famoso esemplare anni fa fu Tobias Jones. Vi ricordate di Mario Appelius che dai microfoni dell’Italia fascista inveiva contro la perfida Albione? Beh, per un Appelius di regime, ce ne sono dieci in salsa inglese.
Magari amano l’Italia, vengono perfino a viverci o almeno a trascorrere le vacanze, e sorridono al nostro folclore come si fa nelle gite in auto con i finestrini chiusi tra le scimmie e i babbuini, allo zoo-safari. Ma tolto il paesaggio, la natura e il colore, il resto è una schifezza. Eppure vi assicuro, ogni anno partecipo ad un seminario italo-britannico con il fior fiore dei giornalisti inglesi e i giudizi off record non sono così negativi. Ci amano di nascosto, ci detestano in pubblico.
Un disprezzo che sfiora il razzismo
L’antico disprezzo per l’Italia poi si aggrava quando al governo del paese c’è il centro-destra. Allora le cose peggiorano, anche perché molti corrispondenti dall’Italia conoscono la realtà del nostro paese attraverso il filtro di molti giornali e giornalisti italiani, in prevalenza di sinistra. Se vedi l’Italia con gli occhiali de la Repubblica, del Corriere della sinistra e del Manifesto, è normale che vedi tutto nero, anzi black. Che l’Italia abbia un mare di lacune, volgarità, storture e spazzature, non c’è bisogno che ce lo dicano da così lontano, ce ne accorgiamo pure noi, a vista d’occhio.
Resta una curiosa appendice: viceversa, come i nostri corrispondenti dall’estero funzionano all’opposto: siamo così compiacenti con il paese che ci ospita che abbiamo la sindrome di Zelig, ovvero il corrispondente in video si traveste da indigeno, imita quelli del posto. Così abbiamo il corrispondente da Londra che fa l’humour inglese, si atteggia a Mister Bean o finge di divertirsi spettegolando sulla famiglia reale; il corrispondente da Mosca che sembra nato col colbacco e assume l’inflessione russa; il corrispondente da Berlino pesante e noioso come i telefilm tedeschi; e poi il corrispondente americano che fa l’americano; la corrispondente cinese che fa la filocinese, e così via. Un caso di mimetismo ambientale che rivela uno dei vizi più antichi del nostro paese e che coincide con un nostro pregio: siamo duttili. Fin troppo. Oscena proposta: visto come si sono comportati agli Europei, a Londra la Rai mandi il nipote di Mario Appelius.
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