Lagarde – Sei banche centrali schierano una potenza di fuoco rovesciando sui mercati, con azione coordinata, una valanga di miliardi di dollari, di euro di yen e così via per contrastare la minaccia di una recessione. La Fed ha usato ancora una volta le armi tradizionali per combattere il nemico, tagliando interesse di 100 punti base fino allo 0-0,25% (livello che non si vedeva dal 2015) e mettendo sul tavolo 700 miliardi di dollari da destinare all’acquisto di T-bond per 500 miliardi e di Mbs (Mortgage-backed securit, cioè cartolarizzazione di crediti legati ai mutui) per i restanti 200 miliardi. Inoltre ha ridotto a zero la percentuale di riserve obbligatorie e dato accesso illimitato alla discount window, cioè una finestra di sconto, per 90 giorni.
Di fatto, la banca guidata da Jerome Powell ha sparato quasi tutte le sue cartucce con intensità massima nel tentativo di limitare (attenzione, limitare e non eliminare) gli effetti negativi della diffusione del coronavirus. Basterà? Solo il tempo dirà. Oltre alla Fed, mosse accomodanti ieri mattina sono state annunciate anche dalla BoJ, la banca centrale del Giappone, che ha aumentato il piano di Qe da 6 a 12 trilioni di Yen (113 miliardi di dollari). La liquidità servirà ad acquistare corporate bond ed Etf.
INDIETRO DI 19 ANNI
Ma se Fed e BoJ hanno scoperto le loro carte, le banche centrali di Canada, Inghilterra, Svizzera, Cina hanno preferito intervenire – sembra massicciamente – senza però scoprire il loro gioco. Insomma, sembra di essere tornati al 2001, al tempo dell’attentato alle Torri Gemelle: solo allora fummo testimoni di un’azione così massiccia, con l’obiettivo di aumentare la liquidità nel sistema e permettere all’economia di continuare a funzionare. E’ una lezione importante che venne appresa allora, replicata in un certo senso del 2008: agire subito e in modo concertato rafforza l’impatto delle decisioni prese.
Ma davvero tutte le banche si sono mosse all’unisono? A quanto è dato sapere, la Bce avrebbe iniziato con ritardo gli acquisti sul mercato di titoli in esecuzione della discutibile decisione presa dal board giovedì scorso dove i falchi del Nord Europa hanno frenato la mano di Christine Lagarde, fino a farle pronunciare quella frase rovinosa: «Bce non può chiudere gli spread».
Purtroppo all’interno di Francoforte permane una dannosa divisione che solo Mario Draghi aveva tenuto a bada. Fa rumore il movimentismo del capo economista di Eurotower, l’irlandese Philipe Lane, che ha cercato di correggere la gaffe della banchiera francese Lagarde: «La Bce si riserva la possibile opzione di futuri tagli dei tassi». Aggiungendo, nell’intento di placare il polverone: «Siamo pronti a fare di più, ad adottare tutti i nostri strumenti» contro la fiammata degli spread.
Perché un intervento più energico della Bce al fianco delle altre banche centrali sarebbe importante? «Nell’immediato la parola d’ordine è volatilità, non crisi, perché il sistema finanziario è robusto», è il commento di Stefano Caselli, professore di international finance alla Bocconi, «e molto dipenderà dalle capacità delle autorità monetarie e di vigilanza di infondere fiducia».
Lane, insieme ai rappresentati italiani nel board della Bce e ad altri 3-4 esponenti dell’Europa meridionale, spingono per una correzione di rotta che potrebbe avvenire nella riunione del 30 aprile. Ma potrebbe essere tardi perché tra un mese e mezzo l’economia sarà segnata dalle devastazioni di questi giorni, soprattutto sul fronte della liquidità nelle casse delle imprese.
Se le aziende rallentano o si fermano del tutto, come accade in questi giorni a causa dell’emergenza sanitaria, non si produce fatturato. Perciò vengono meno le risorse per pagare fornitori e dipendenti o le rate dei prestiti alle banche, che a loro volta potrebbero chiudere i rubinetti del credito per non correre il pericolo di riempire un’altra volta i loro bilanci di Npl. In questo scenario le aziende, soprattutto le piccole, rischiano di fallire e quindi avviare piani di licenziamenti. Da qui l’urgenza di mettere a disposizione liquidità aggiuntiva. Purtroppo però l’idea della maggioranza pilotata da Jens Weidmann, capo della Bundesbank è che sono i singoli governi a dover intervenire.
Rosario Dimito per “il Messaggero”
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