C’è, ma non si vede. E forse è meglio così. Da decenni, nel Museo del Louvre di Parigi, è conservato un enorme arazzo nazista di 30 metri quadrati (quanto un piccolo monolocale) raffigurante un’aquila araldica con una svastica, le iniziali di Adolf Hilter (A H) e una citazione del Mein Kampf: «Chi vuole vivere deve combattere».
L’oggetto, di lana e seta, è intessuto con fili d’oro del peso di 3,5 chili, che ne alzerebbero esponenzialmente il valore. A pubblicare la notizia The Art Newspaper, che sottolinea come l’oro potrebbe derivare dai saccheggi effettuati ai danni delle famiglie ebraiche.
L’oro
L’arazzo riporta anche l’anno della sua produzione, il 1942, lo stesso in cui fu decisa la Soluzione Finale. Secondo i documenti ufficiali, l’oro sarebbe stato fornito dal partito nazista, e sarebbe arrivato al Louvre nel 1949, dopo essere passato per il punto di raccolta dell’esercito americano a Monaco di Baviera.
Lì erano state accatastate tutte le opere prese durante la guerra e, nonostante la Francia non avesse alcun diritto su quell’arazzo, fu deciso di trasferirlo al museo parigino. Da un’indagine, è emerso come fosse stato realizzato nella fabbrica di Nymphenburg, fuori Monaco.
Il drappo non è di proprietà del Louvre, che lo conserva nell’ambito del progetto Musées Nationaux Recuperation, grazie al quale è stato possibile ottenere circa 2000 opere recuperate in Germania nel 1945. Quelli però sono oggetti provenienti dalla Francia, i cui proprietari non sono mai tornati dalla guerra: l’arazzo nazista, invece, fa parte del Mnr nonostante sia stato prodotto in Germania.
Un reperto scomodo
Nei registri nel Mnr è registrato come «probabilmente saccheggiato», ma dopo l’articolo di The Art Newspaper è stato classificato come «non saccheggiato». Di fatto, però, si tratta di un reperto scomodo, che il Louvre non pubblicizza e non ha mai pensato di esporre.
È probabile che la sua collocazione più appropriata sia il Museo di storia tedesca di Berlino, i cui esperti saprebbero come «trattarlo» al meglio. Esporlo è sicuramente complicato, vista la glorificazione del Fuhrer e l’esplicita simbologia del Terzo Reich.
Le opere naziste, o in qualche modo legate al nazismo, hanno affascinato – e continuano ad affascinare – artisti e collezionisti di tutto il mondo. Nel 2016 la statua “Him” di Maurizio Cattelan, raffigurante Hitler in ginocchio intento a pregare, è stata venduta a New York per 15 milioni di euro, il prezzo più alto mai raggiunto per un’opera dell’artista italiano. È stata realizzata nel 2001 con capelli umani, cera e resina.
I dipinti di Hitler
E ancora prima, nel 2015, dei quadri fatti da Adolf Hitler in persona furono venduti per 400mila euro; spesi sia da collezionisti francesi e tedeschi (nostalgici o particolarmente desiderosi di avere opere del Fuhrer), sia da milionari russi, cinesi e arabi. Nel riportare la notizia, la Frankfurter Allgemeine nota come i dipinti di Hitler – nonostante la sua fama di pittore mediocre – siano sempre venduti a prezzi abbastanza alti. Il loro commercio, in Germania, è legale, a patto che non ci sia alcun riferimento al nazismo: nessuna svastica, nessuna croce della Wermacht e così via.
Non sempre è andata così bene: nel 2017, cinque dipinti dallo scarso valore artistico furono venduti per meno di 10mila euro l’uno. Rappresentavano una natura morta, un vaso di fiori, uno scorcio del paesino di Durnstein e la tomba della nipote acquisita Geli; morta suicida nel 1931 dopo essersi sparata con una pistola del Fuhrer. Si ritiene che tra i due ci fosse una relazione.
Nel 2019, a Norimberga, l’asta per cinque suoi quadri fu un fallimento totale: prezzo base 52mila dollari, nessun pezzo venduto. Il flop, in questo caso, si spiega con la perdita di credibilità della casa d’aste, che qualche giorno prima era stata costretta a rimuovere 26 pezzi dal suo catalogo perché falsi.
Da www.tag43.it
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