Le festività romane
Nel mese di dicembre, dal 7 al 23, a Roma, anticamente si festeggiavano i Saturnali, le festività corrispondenti alle nostre di fine d’anno.
Usavano scambiarsi regali, condumavano frutta secca, c’era sempre qualcuno che portava in dono il famoso ceppo che doveva durare tutto il periodo, si accendevano candele e si usava riunirsi tra parenti per banchettare. Passando ai giorni nostri, esiste ancora un modo di dire che rievocare una certa immagine.
Ad esempio, nel descrivere un tempo immemore o remoto, si dice, a proposito di qualcosa, che è avvenuta nella notte dei tempi. Perché parlare di notte dei tempi quando si vuole descrivere l’alba dell’umanità?
Perché ci immaginiamo i nostri progenitori immersi nel buio e nelle tenebre più fitte? Carl Gustav Jung parlerebbe di archetipo, un modello originario che risiede nell’inconscio no tanto del singolo individuo ma dell’intera collettività. I primi racconti mitici che hanno indagato sulle origini del cosmo e che eramo ritenuta originati da una sapienza tradizionale, dicono che in origine esisteva un’entità di nome Caligine che ancora oggi significa fitta nebbia oscura.
Questa Caligine era un fenomeno che creava angoscia e smarrimento negli uomini perché si sentivano disorientati come se fossero usciti dal mondo non avendo più alcun punto di riferimento ed in cui ogni cosa sembrava emergere dal nulla
Lo scrittore e astronomo latino Igino nella sua genealogia, ci racconta che Caligine sarebbe madre di Caos, il disordine primordiale, dimensione da cui sarebbero nate le divinità. Infatti, in seguito furono partiti anche Notte, e poi Giorno col nome di Emera, Erebo, la versione dell’Ade presso i Greci ed Etere, la componente più alta e luminosa del cielo.
Notiamo che Caligine non corrisponde né al caos né al buio della notte ma è qualcosa di indefinito, un nulla originario
Gli Egizi avevano Isfet, personificazione del disordine cosmico è il caso che sarebbero esistiti prima della creazione. Ecco perché talvolta siamo sconcertati dalle festività dei Saturnali e dal modo di come venivano festeggiate. Era una allegorica ricostruzione degli inizi della vita, un ritorno non solo all’età aurea ma un po’ anche una rievocazione del caos primigenio in cui non c’era alcun ordine costituito strutturato, nemmeno di tipo morale.
Sembrava una costruzione di un mondo ancora al di là del bene e del male, totalmente libero senza alcuna regola che alle origini era di là da venire
Forse era una liberazione psicologica, come nel Medioevo era rappresentato dal frenetico ballo della taranta, una valvola di sfogo per fuggire dalla regola. Alla base del periodo festivo dei Saturnali c’era la totale mancanza di gerarchia e di ordine come il mito narrava fosse il caos primordiale. Una età originaria in cui l’uomo non aveva ancora avuto la necessità di una domesticazione e forse di una coscienza di sé.
Forse era simile al buon selvaggio di Rousseau o più probabilmente alla bestia bionda di Nietzsche
Era il caos non distruttivo ma generatore di vita, per alcuni versi con lontani echi simili alla nostra Natività, le origini ed il rinnovamento nei giorni più bui dell’anno.
Si potrebbe dire che era una rivoluzione istituzionalizzata in quanto dal latino revolutio, revolvere, voltare di nuovo per tornare a quella che noi immaginiamo come dimensione edenica. Forse ogni rivoluzione ha le medesime pulsioni psicologiche, questa che chiameremo nostalgia delle origini
In termini medici sarebbe denominata regressione terapeutica, un de reditu. Anche Ulisse, lo vediamo compiere una rivoluzione interiore col suo ritorno che si potrebbe leggere anche come un viaggio esistenziale dell’anima la quale attraversa varie dimensioni dagli inferi a quella paradisiaca nell’isola di Ogigia fuori dalle colonne d’Ercole con una divinità, fino al naufragio simile a quello di Dante quando di sente smarrito nella selva oscura.
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