Le parole di Feltri

Le parole di Feltri

Hanno fatto giustamente indignare le parole di Vittorio Feltri, Direttore de il Giornale e consigliere regionale in Regione Lombardia in quota Fratelli d’Italia pronunciate qualche giorno fa nella trasmissione radiofonica “La Zanzara” di Parenzo e Cruciani.

L’argomento di discussione era il caso della morte di Ramy Elgaml e delle successive proteste nel quartiere Corvetto di Milano

Ragionando sulla strenua difesa del carabiniere indagato per la morte del giovane (al quale Feltri si è offerto di sostenere i costi per la difesa legale), il consigliere regionale si è lasciato andare a frasi molto forti e in alcuni casi esplicitamente violente e aggressive.

Letteralmente, a domanda di Parenzo se Feltri se conoscesse il quartiere Corvetto, il giornalista risponde che “Non frequento le periferie, non mi piacciono.

Sono caotiche, brutte e soprattutto piene di extracomunitari che non sopporto. Basta guardarli, vedi quello che combinano qui a Milano, come fai ad amarli?

Gli sparerei in bocca

Non mi vergogno affatto di considerare i musulmani delle razze inferiori”.
Parole durissime e indubbiamente da condannare per quanto riguarda gli intenti provocatoriamente violenti e per la loro natura testualmente razzista (religione e razza, sono due cose diverse).

Da lì, le reazioni politiche trasversali che condannano duramente quanto detto da Feltri

Da Majorino – capogruppo PD in Consiglio Regionale – che chiede le dimissioni del consigliere regionale e la presa di distanza di Fontana e Meloni, a Maira Cacucci – consigliera FDI – per la quale le parole di Feltri sono inaccettabili in quanto contrarie alla nostra Costituzione. Il consigliere Mario Forte, sempre di FDI, e è ancor più duro con Feltri affermando che è finito il tempo di difendere d’ufficio i colleghi di partito e che si dovranno in qualche modo mettere in campo dei provvedimenti per censurare quanto avvenuto.

Potremmo finirla qui! Sarebbe comodo senza dubbio

Laverebbe le coscienze di quanti non possono in alcun modo approvare le parole e i toni di Feltri, e mi ci metto anche io fra questi, ca va sans dire.
Ma ritengo che faremmo un torto alla verità se non cogliessimo l’occasione di queste esternazioni per non spingere oltre la riflessione. Faremmo torto alla verità se non raccogliessimo la sfida provocatoria lanciata dal giornalista limitandosi a una indignata condanna delle parole usate.

Da dove arriva tanto odio che trasuda dalle espressioni di Vittorio Feltri?

Sono solo l’espressione arteriosclerotica di un vecchio ormai non più in sé? O sono al contrario la spia di qualcosa di grave che si muove inconscio nelle nostre città e che Feltri ha avuto l’ardire di portare fuori, alla luce del sole?

È Feltri il problema o quel cieco sentimento di impotenza che ciascuno di noi sente dinnanzi a ingiustizie evidenti quale la mancata sicurezza in intere zone delle nostre città ormai in mano alla criminalità di importazione?

Sottovalutare il problema non è causa di un futuro razzismo ancor più generalizzato?

Dobbiamo rispondere a queste domande anche nell’interesse dei migranti, perché la situazione è esplosiva e sottovalutarla sarebbe criminale

È ancora tempo di distinguere il grano dal loglio! È ancora tempo di fare una riflessione che vada oltre la tifoseria.
Se non comprendiamo che le parole di Feltri sono la spia di un problema più profondo, presto quelle parole si potrebbero trasformare in atti violenti nella crisi già generalizzata delle democrazie liberali e nella sempre più accentuata polarizzazione delle nostre società.

I problemi del disagio nelle periferie, della criminalità diffusa, della difficoltà di integrazione, esistono, sono reali, e non saranno risolte con le dimissioni di Feltri dal Consiglio Regionale

E allora bisogna avere il coraggio di guardare in faccia la realtà.

Cari Majorino & Company, dove eravate quando il sindaco Sala negava radicalmente che esisteva un problema sicurezza nella città di Milano?

Dove eravate quando qualcuno denunciava inascoltato che comunità non intendono minimamente integrarsi con noi, ma continuano a orgogliosamente rivendicare la loro specifica identità altra diversa, e persino in opposizione alla nostra?

Invece di riempirvi la bocca di parole altisonanti come “inclusione sociale” o “integrazione”, iniziate a far qualcosa di concreto affinché queste parole si traducano in realtà.

Aprite gli occhi perdio!

Per fare integrazione è doveroso che ambedue le parti vogliano innescare una spirale virtuosa di conoscenza e reciproca accettazione. Ma se una parte non vuole intraprendere questo percorso, non vi può essere integrazione, ma solo sottomissione dell’identità più debole rispetto a quella più forte forte (inutile dire che la più debole, oggi, è quella occidentale). Houllebecq lo ha capito, ci ha avvertito, purtroppo invano!

Mettere la testa sotto la sabbia e fingere indignazione per espressioni sbagliate ma al contempo omettere che quelle parole denunciano un problema reale aggrava i problemi, sebbene sollevi le coscienze di alcuni.

Il tema è culturale. E come tale va affrontato

Fa riferimento a che tipo di società abbiamo in mente di costruire da qui ai prossimi vent’anni.

Ancora in Italia c’è tempo per salvarsi ma la situazione che si vive nelle banlieu parigine o a Molenbeeck non è troppo lontana. Così come non è troppo lontana la situazione di alcuni quartieri di Londra dove vige la sharia regolarmente penetrata nella Common Law e perciò applicata dalle Corti inglesi. È davvero questo che vogliamo per le nostre città da qui a qualche decennio?

Io non credo! Fermiamo questo processo, oppure l’Eurabia di cui parlava la Fallaci sarà presto realtà, e a quel punto sarà troppo tardi

È arrivato il momento – per provare a salvare il salvabile – di porsi il problema delle seconde e terze generazioni di immigrati che si sentono più legati alla loro terra natia e alla cultura di appartenenza piuttosto che allo Stato Italiano (di cui potrebbero diventare cittadini, per scellerate ideologie progressiste) e ai valori dell’Occidente.
Sarebbe errore fatale per la società tutta negare la realtà e assecondare la sinistra sul terreno del finto buonismo che salva le persone in mare (doverosamente!) per poi lasciare che bivacchino nei quartieri divenendo preda della criminalità nostrana.

Dire queste cose non è razzismo

Non è fascismo. Dire queste cose è l’ultimo tentativo di salvare una società che si regge in piedi grazie solo grazie alle proprie regole. Regole maturate in secoli di storia, di contaminazioni, di guerre, di movimenti culturali avanzati. Regole che costruiscono e preservano il comune sentire e la comunità nazionale. Senza regole la comunità muore.

E, certamente, le dimissioni di Feltri non la salveranno!

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