Nessun fascista repubblicano aveva simpatia per Galeazzo Ciano. Era visto come chi aveva tradito l’uomo che gli aveva dato tutto. Traditore, a detta di Hitler, della Patria, dell’idea e della famiglia. Ma anche nell’Italia successiva il genero di Mussolini, per anni suo ministro degli Esteri con fama di grande raccomandato, non trovò particolare simpatia.
È stato quasi sempre dipinto come un opportunista caduto vittima di un suo maldestro tentativo di affrancarsi da errori anche suoi. Però corre l’obbligo di ricordare quanto Bottai disse di lui.
Le parole di Bottai
“Di rado ho avvicinato nella mia vita uomini di così contrastanti qualità, riunite in una sola persona: un intelligenza vivacissima, veloce, intuitiva e una pigrizia intellettuale greve e accidiosa. Una memoria sorprendente di particolari, minuzie e frivolità e una smemoratezza non meno sorprendente dell’essenziale, delle idee, dei sentimenti. Una cultura varia, pronta, curiosa ed un’ignoranza totale dei problemi più correnti della vita sociale. Un’eleganza ricercatissima di modi, di relazioni e di comportamenti e una trasandatezza volgare di tratti e di accenti.
Di modo che era difficilissimo accompagnarci a lui, diseguale da un giorno all’altro, capriccioso nelle sue ammirazioni e nei suoi affetti, nelle sue tendenze politiche e nei suoi gesti intellettuali. V’era in lui, in una resistenza perturbante, qualcosa di repulsivo e qualche cosa di attraente: il che faceva sì che avesse convintissimi i detrattori e gli estimatori. Solo chi lo avvicinava più a lungo sentiva l’influsso di questi due opposti poli, tra i quali l’amicizia oscillava, tardando a formarsi, a consolidarsi, a prendere slancio (…).
In un altro regime costituzionale egli avrebbe tenuto l’Italia fuori da una guerra, giusta nelle sue premesse e nei suoi fini. Ma di peso soverchio per l’Italia, ancora stremata dallo sforzo africano e spagnolo. Ma in regime mussoliniano la sua ragionata opposizione non poteva che intristire in un obbedienza di malavoglia non convinta, che non poteva non essere perniciosissima per un temperamento già diseguale com’era il suo. Con un altro capo lui si sarebbe raddrizzato. Con Mussolini non poteva che viziarsi: e a compiere l’opera del suocero interveniva la moglie, specie di Mussolini con l’utero.
Quale sentimento lo portò a firmare l’o.d.g Grandi, ch’egli lesse per una prima volta a casa mia?
La posizione difficile di parente
La sua posizione difficile, delicata, di parente, non gli fu certo nascosta nell’atto di rivolgere al Duce un richiamo a sottomettersi alla costituzione vigente del regime. In tutti i suoi organi istituti, dal Re alle assemblee ai consigli, che in essa si prevedevano.
Ricordo ancora con esattezza vivissima il suo turbamento interiore e il suo prorompere d’un tratto con gli occhi lucidi di pianto in questa frase: “Qui sono in gioco gli interessi dell’Italia! Mio padre avrebbe firmato: e io firmo!”.
Qualcuno, dopo (perché ci sono sempre i furbissimi del dopo, quelli che avendo preso gli avvenimenti una piega imprevedibile, deprecano e sentenziato), ha deplorato che proprio lui, dicevano, il genero:e corse, facile erudizione, il” tu quoque”.
Ma un giudizio morale di questa sorta dipende dalla conoscenza di quel che è avvenuto in quella coscienza.
Io sono persuaso che in quei giorni Galeazzo tentò, con un gesto di sincerità che a lui costava, anche materialmente più che a tutti, di scrollare da sé l’equivoco del suicidio di una schiavitù familiare e politica insieme. Tentò, almeno in questo, di ridurre a unità umana quella doppiezza di temperamento che dentro lo corrodeva.
Ora, penso al ragazzone che gli era, al suo amore della vita facile e gioiosa, al gusto per le comodità e lussi, al suo correre impazzato nei campi fioriti del piacere e della voluttà, che devono avergli reso molto penoso il trapasso.
Forse, il sentimento di Dio che, in una forma di devozione quasi bigotta, egli sposava alla sua gioconda dissolutezza, l’avrà soccorso nell’attimo che estremo.
Che la sua morte ingiusta lo riscatti nella giustizia Celeste.”
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