Nel corso dell’ultima seduta del Gran Consiglio del Fascismo furono presentati tre ordini del giorno.
Il primo, quello che poi ottenne la maggioranza, che prese il nome dal suo principale fautore Dino Grandi. Il secondo ordine del giorno fu presentato da Farinacci. Il terzo dal segretario del partito Carlo Scorza, che raccoglieva attorno a sé di gerarchi più leali verso Mussolini.
Tutti e tre gli ordini del giorno concordavano sulla necessità di resistere ed approntare efficacemente la difesa del paese.
Al di là della differenza stilistica, della semantica e dei toni usati, nessuno dissentiva sul bisogno di unità di tutti gli italiani per contrastare l’imminente minaccia. Poi questi documenti erano in un certo senso concordi nel richiedere il pieno coinvolgimento di tutti gli organismi costituzionali che dovevano affiancare il governo.
Presentavano alcuni punti di contatto generici, ma differenziavano nell’individuazione degli organi. Differenziavano in quel particolare che era la vera sostanza.
L’ordine del giorno Grandi voleva tornare allo Statuto, alle prerogative del sovrano. Compresse facilmente dai nuovi istituti introdotti dal regime tramite legislazione ordinaria. Poiché lo Statuto Albertino non prevedeva un iter legislativo aggravato per le leggi costituzionali, essendo una carta flessibile.
Scorza e Farinacci, nei loro ordini del giorno individuavano negli istituti del regime gli organismi legittimi e necessari al funzionamento del sistema paese. Qui paradossalmente si riscontra tra la fronda dei moderati facente capo a Grandi e l’intransigente filotedesco Farinacci, un ulteriore scopo politico.
L’inamovibilità del Duce
Per ambedue il Duce poteva essere inamovibile. Era anzi quello che si auguravano la maggior parte dei firmatari dell’ordine del giorno Grandi e che auspicava Farinacci. Probabilmente nella speranza che saldando i rapporti con l’alleato tedesco, potesse essere lui stesso a guidare il paese.
In questo è arguto Carlo Alberto Biggini, quando nel suo intervento fa osservare che nell’ordine del giorno Grandi, si richiede un ritorno assoluto allo Statuto et in cauda venenum non viene mai nominato il Duce.
Manca però di sottolineare, o forse lo ritiene poco rilevante visto che sin da subito Farinacci apparve chiaramente isolato, che anche nell’ordine il giorno di quest’ultimo non si faceva mai menzione al Duce del fascismo. Se non con il titolo, come in quello di Grandi, di capo del governo e solo per chiedere al Re di riassumere il comando militare.
Farinacci
La grossa differenza poi tra Farinacci e la fronda risiedeva nell’approccio dogmatico ed insindacabile che il primo aveva verso l’alleanza con i tedeschi. Tutto il suo ordine del giorno era un continuo ribadire l’indissolubilità di questa alleanza con la Germania. Ma liquidare Mussolini andava bene anche a lui.
Tutti erano convinti che il regime dovesse aprirsi e rendersi più partecipativo. Lo stesso Mussolini aveva bisogno di chiamare in causa non solo la sua volontà ed il suo comando, ma rendere corresponsabile delle scelte l’intero regime.
Inoltre tutti quanti volevano restituire al Re il comando supremo delle Forze Armate, in funzione del grande sforzo che paese avrebbe dovuto fare per difendere se stesso.
Ma solo l’ordine del giorno Grandi restituiva alla Corona l’iniziativa politica assoluta riportando il paese pienamente allo Statuto. Gli altri due documenti riaffermavano la centralità degli organi creati dal regime fascista.
V’era solo una differenza tra loro, ossia che per Farinacci il regime doveva restare in piedi, al fianco dei tedeschi, ma il capo del regime poteva essere messo in discussione.
Nell’ordine del giorno Mussolini restava al suo posto, il Duce era il regime ed il regime non poteva fare a meno del Duce.
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