Leaderismo e decadenza politica. La personalizzazione dei partiti non funziona

leaderismo

Il leaderismo non ha fatto bene alla politica. Soprattutto non ha fatto bene ai partiti, che sono diventati strutture sempre meno articolate e sempre meno capaci di produrre una classe dirigente qualificata.
Si sono in sostanza trasformati sempre più in dei comitati elettorali, guidati da un capo e da una pletora di cortigiani.

Il leaderismo inteso quale atteggiamento di supremazia del capo di un partito, quale eccesso di importanza ed iperconcentrazione nelle mani di un solo uomo. Di una sproporzionata parte di elaborazione politica, capacità decisionale e soprattutto comunicazione. Usura i partiti, abbassa il livello del dibattito e porta a partorire una classe dirigente cortigiana non selezionata in base alle qualità. Ma bensì alla presunta fedeltà.
Tra l’altro i cortigiani sono i meno fedeli, poiché quando cade in disgrazia il sovrano di turno non hanno remore ad inchinarsi ad un nuovo scettro.

Guardiamo i principali partiti che compongono il Parlamento

Innanzitutto il movimento pentastellato, un partito solo ed esclusivamente leaderistico. Nato come reazione furiosa alimentata solo ed esclusivamente dall’antipolitica e poi trasformatosi in un attore di palazzo. Nulla di nuovo. Spesso i giacobini si adattano al potere ed anzi vogliono anche la nobilitazione, e gli annessi privilegi che un tempo criticavano.

Però il Movimento Cinque Stelle è nato leaderistico, e tutt’ora soffre l’assenza di un leader. Conte non riesce ad esserlo efficacemente, volendo fare l’uomo delle istituzioni in un contenitore di movimentisti. Di Maio cerca di far dimenticare i suoi errori riprendendo la leadership e Beppe Grillo è sempre l’ombra della vera anima pentastellata.

Un’anima di protesta a che non ha spesso trovato un retroterra comune di proposta, un programma unitario. Tutte mancanze sopperite dal carisma del comico genovese.

Partito Democratico

Il partito democratico da questo punto di vista è il partito meno leaderistico di tutti. Proprio perché erede in questo senso della vecchia tradizione del partito comunista e di una parte della democrazia cristiana. Il PD non ha un leader, e non soltanto perché Letta non è in grado di esserlo.

Ma anche soprattutto perché il PD rimane un partito con i suoi pregi ed i suoi difetti, quindi ha un segretario.
Vittima di contraddizioni, diviso in correnti. Però il partito democratico è un partito nel senso tradizionale della storia della partitocrazia italiana. Quindi conta più la struttura del segretario.

Non è un caso che il leaderismo di Renzi sia stato estremamente traumatico e mal digerito internamente.

Nel PD c’è una parziale similitudine con la situazione della Lega. Dove però troviamo una diarchia nella gestione del movimento.

La Lega

La Lega padana, a trazione settentrionale. Quella creata da Umberto Bossi con una storia alle spalle ed un ideologia strutturata alla base, è stanziata e strutturata nel nord del paese. Ha la percezione di Salvini come del segretario, magari in questo momento neanche più in sintonia con il nord produttivo, non come di un leader indiscusso.

Fedriga, Giorgetti, Zaia rappresentano leadership individuali solide e seguite.

Invece la Lega sotto il Po’ è il prodotto della leadership carismatica di Salvini, non vi è altro che questo. Salvo casi territorialmente isolati, la grande espansione della Lega al Sud è quella di un partito unicamente legato alla figura del leader.

Forza Italia

Forza Italia negli anni ha espresso tante candidature dei professionisti di rilievo, di intellettuali, di imprenditori.
Ma gli azzurri sono Berlusconi.

La storia del grande partito liberale, della nuova Democrazia Cristiana aderente al partito Popolare Europeo, che Scajola ha anche provato a strutturare sul modello della balena bianca, è fondamentalmente nulla più di una storia. Forza Italia è Berlusconi e la storia di Forza Italia è la storia di Berlusconi. Chi vuole vederci altro, è totalmente in errore.

La riprova sta nel fatto che è praticamente impossibile per i forzisti trovare un leader alternativo che non porti al tracollo assoluto. Salvo che sia proprio Berlusconi stesso ad incoronarlo personalmente. Ma l’ex presidente del consiglio non ama l’idea di abdicare.

Il “centro”

Non parliamo del centro dove ci sono una marea di personaggi che hanno una sola ambizione: il predominio leaderistico, che è l’antitesi di quella che fu la chiave del successo della Democrazia Cristiana.

La DC aveva un senso perché era un coacevo di leadership locali. La Democrazia Cristiana ebbe pochi leader, quasi mai furono prevalentemente incontrastati. E soprattutto nessuno riuscì a tenere testa alle pulsioni centrifughe degli organi decentrati del partito e delle strutturatissime correnti.

Fratelli d’Italia

Rimane solo l’unico partito di opposizione: Fratelli d’Italia. Sicuramente il carisma e la leadership che la Meloni sono elementi essenziali del successo di questo soggetto politico di recente costituzione.

Nondimeno bisogna altresì dire che si tratta comunque di un soggetto erede di una storia, di uno stile e di una tradizione strutturata negli anni.

Sarà estremamente interessante nel tempo vedere quale assetto prevarrà in esso tra il leaderismo e la struttura partito.

Probabilmente una via di mezzo che darà peso al primo, bilanciato da un contrappeso della seconda. In che rapporti di forse è tutto da scoprire.

 

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