Giuseppe Conte è ormai l’ombra di se stesso.
Del docente rispettato, autorevole, pacato nei modi, nei toni e lucido non si riconosce ormai molto.
Probabilmente lui non se ne rende pienamente conto, essendo troppo impegnato in prima persona sul palcoscenico del governo a recitare la parte del premier che riesce a tenere in piedi tutto e tutti e che è capace di portare avanti meglio di un Andreotti o addirittura di un Degasperi, una coalizione eterogenea ed una maggioranza governativa estremamente esigua ed ormai usurata.
Non può vedersi come lo vede uno spettatore, non può vedersi con la lucidità con cui lo vede ormai anche l’elettore medio.
Non si rende più conto di continuare ad annunciare utopici segnali ottimistici laddove comunque è chiaro che il governo non potrebbero resistere alla caduta dell’Emilia Romagna, non potrebbe nessun partito della maggioranza ignorare l’ennesimo segnale politico.
Non è credibile quando sprizza ottimismo davanti all’annuncio di Matteo Renzi che si potrebbe tornare alle elezioni. E non si capisce neanche come possa ben sperare di chiudere un accordo decente sull’Ilva dove non perdere definitivamente la faccia; poiché un compromesso che non tutelasse i lavoratori e sfiduciasse gli investitori sarebbe veramente una Caporetto politica con i fiocchi!
Ormai Conte è vittima di una maggioranza troppo eterogenea, di aver accettato di guidare un esecutivo messo insieme solo con la paura che Matteo Salvini vincesse le elezioni anticipate ed andasse alla guida del paese con una coalizione di centrodestra. Nessun vero collante ideologico e di scopo regge questo governo.
Questo ha comportato una sfiducia pesantissima nei riguardi dei partiti di maggioranza , in particolare del Movimento Cinque Stelle che sembra essere stato risucchiato all’interno di una spirale irreversibile di calo del consenso.
Nel mentre il Partito Democratico e Matteo Renzi hanno divorziato, e lo spazio politico ricercato al centro da Renzi con proposte liberali e tendenti sempre più a contrastare con l’anima movimentista pentastellata, che ha un necessario bisogno di essere rivitalizzata prima che il movimento tracolli definitivamente sotto l’etichetta di partito di Palazzo e vada a perdere le colonne stesse del proprio consenso, porti alla condizione che per poter andare avanti con il governo non basti più la paura di Matteo Salvini. Ma mettere sostanza vorrebbe dire scegliere una linea chiara, difficile da trovare tra soggetti tanto antitetici.
Conte non può non sapere che è indegno sottoporsi ad essere il Presidente del Consiglio sotto il quale viene varata una legge che rende le persone imputate senza tempo, questo è per un giurista una macchia.
La spina poi potrebbero staccarla in molti a breve.
I renziani, ai quali se si raccogliessero le firme per il referendum converrebbe andare a votare con l’attuale numero di parlamentari, misura necessaria fin quando non si si tenuta la consultazione.
L’ex sindaco di Firenze non avrebbe vantaggio con le percentuali attuali ad un voto successivo al taglio dei parlamentari. Ma se le firme non si raccogliessero il vantaggio potrebbe essere tutto di Zingaretti, che ridurrebbe gli scissionisti renziani ad un’esigua pattuglia parlamentare, magari neanche capace di formare gruppi autonomi e diverrebbe il leader incontrastato dell’opposizione con una sinistra rappresentata praticamente quasi solo solo dal PD.
Oppure potrebbe essere un estremo tentativo dei pentastellati di recuperare consensi, in fondo anche loro, se il taglio non prendesse immediata esecutività, avrebbero tutto il vantaggio ad un colpo di scena per tornare al voto con l’attuale numero di rappresentanti nelle assemblee. Cogliendo i famosi due piccioni con una fava, ossia riprendendo un dialogo con la parte movimentista e non subendo i drastici effetti del taglio per la loro rappresentanza.
Chiunque staccherebbe la spina, lascerebbe a Conte molto amaro in bocca.
Il premier si sarebbe logorato la reputazione in un’interminabile lotta pantano parlamentare, per tenere su un governo venendo poi mandato a casa come un allenatore esonerato dopo una stagione fallimentare.
Oppure Conte potrebbe fare uno scatto di dignità, prendere atto dell’impossibilità di andare avanti con coerenza e dimettersi lui stesso.
Un attore si giudica molto per come entare in scena, ma molto di più per come sa uscire di scena.
La poltrona si può perdere, ma anche riprendere, quando si perde la faccia è molto più difficile.
E per un professore che vive della propria autorevolezza, la faccia e’ tutto