L’Euro è irrevocabile, firmato Mario Draghi

mario draghi presidente

Nel 2019 è uscito un saggio edito dal ilSole24Ore a firma di Donato Masciandaro e Alberto Orioli dal titolo “Draghi, Falchi e Colombe”. Il sottotitolo era “L’Euro e l’Italia 2011-2019”. Il nostro Mario Draghi, SuperMario (aggiungo EuroBros!) ha affrontato la crisi finanziaria del 2008 e seguenti con un cipiglio da vero baluardo insormontabile. Ha protetto l’Europa, wathever it takes, qualunque cosa succeda.

Lui è stato più realista del Re. Ha protetto l’euro e l’Europa da una catastrofe finanziaria di dimensioni epocali.

Tralasciamo i tecnicismi di come ci sia riuscito, che in sostanza riguardano solo tre aspetti:

  1. Controllo del tasso d’interesse.
  2. Acquisti a mani basse di debiti pubblici creati dagli stati europei.
  3. Concessione di liquidità alle banche senza limiti.

La sua manovra, ben spiegata dalla raccolta di articoli nel libro sopra citato è stata continua, di lungo periodo, senza interruzioni, determinata. E questa è stata la vera forza del Mario Draghi, quella di aver reso possibile agli europeisti di avere un cavaliere invincibile, di un pragmatismo infinito, di credere che l’Europa ce la farà.

Fin qui tutto bene. Libertà di capitali, libertà di movimento delle persone e di merci in un mercato unico di 200 milioni di abitanti è una cosa veramente positiva. Ma noi italiani, cosa possiamo apprendere da quanto è accaduto?

Mario Draghi potrebbe fare il Presidente del Consiglio?

Prima di tutto che Mario Draghi se dovesse entrare nel gioco politico italiano non potrebbe sfruttare la dote migliore che ha, la determinazione. Il pragmatismo che è evidente deve essere alla base di chi deve decidere. Ve lo immaginate voi, Mario Draghi Presidente del Consiglio italiano che, con i suoi ministri decide una manovra lacrime e sangue per riportare in pari i conti italiani, e poi cercare di trovare i voti in Parlamento?

Forse più logico vederlo seduto sullo scranno più alto per sette anni a baluardo non tanto dell’Europa ma dell’impegno dell’Italia a rimanere in Europa. A questa domanda sovviene alcuni passaggi del libro in analisi.

Il primo punto è che “in tempi normali, l’obiettivo della politica monetaria convenzionale è quello di garantire la stabilità dei prezzi al consumo” ed aggiungo io che lo fece pure Roosvelt con il New Deal e con la creazione del NIRA nel 1933. Ma in tempi non normali Mario ha poi spiegato che la tossina della instabilità del sistema bancario può generare un corto circuito economico con fallimenti societari e creazione di disoccupazione.

Ha poi detto come secondo punto che la politica monetaria sarà espansiva per far si che possano essere aiutati li Stati membri per creare buon governi che aiutino la crescita e riducano i debiti. Quella che fu detta “una rotta chiara” sulla quale la BCE si sarebbe mossa. I suoi speech hanno segnato momenti importantissimi della storia dell’Euro.

Draghi vuol dire Europa

Siamo alla conclusione. Se vuoi Mario Draghi vuoi l’Europa, e vuoi pure il buon governo. Difficile pensare dunque oggi che la comunità finanziaria internazionale possa vedere un così tanto importante alfiere dell’europeismo a guida di un parlamento così caotico come quello italiano, pieno di ipotetiche maggioranze teoriche, di maggioranze vere così confusionarie, non sembra nemmeno che possa fare il Presidente del Consiglio di un governo di unità nazionale. Ma se lo eleggono Presidente della Repubblica allora il legame con l’Europa sarà più forte e chissà come la prenderanno in molti che adesso lo invocano quando scopriranno che potrebbe essere lui il nostro garante del buon governo, che taglia, impone tasse e riduce il debito pubblico.

Viceversa la domanda vera da porsi è un’altra: come ci arriviamo a ridurre il debito pubblico in questo scenario? Abbiamo sicuramente da recuperare un gap di competitività per ciò che riguarda il nostro PIL, che a fine 2019 non cresceva affatto; abbiamo una pressione fiscale mostruosamente elevata, e non va bene; molti oligopoli simil monopoli che danneggiano la concorrenza; sanità ed istruzione deficitari. I soldi del recovery plan verranno ma solo secondo l’impostazione che l’Europa ci ha richiesto: tanti soldi per digitalizzazione, green ed istruzione, pochi per sanità. D’altronde le linee guide le hanno scritte i tedeschi, che problemi sanitari non ne hanno poi tanti, quindi perché buttarci i soldi? E questo ci pone di fronte al fatto che noi abbiamo la coperta cortissima: se mettiamo i soldi sulla sanità, niente cassa integrazione, se li mettiamo sulla istruzione, niente pensioni… e così via. Anzi, senza via, senza via d’uscita.

Quindi se arriva SuperMarioEuroBros dovremo gridare tutti viva l’Europa. Ma che arriva o non arriva tutti saremo li a leccarci le ferite… e non è un giochino elettronico.

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