Oggi alle 15 l’italia si gioca il terzo posto.
Dopo aver subito l’eliminazione da parte della Spagna, l’Italia di Roberto Mancini giocherà all’Allianz Stadium di Torino la finalina valida per il terzo e quarto posto della competizione, contro il Belgio, la perdente di Belgio-Francia.
Avete presente l’importanza di giocare per la medaglia di bronzo?
Vivete l’attesa spasmodica di una finalina che coronera’ la squadra che salirà sul terzo gradino del podio?
No? Infatti. Nemmeno noi.
La retorica decubertiniana
“L’importante è partecipare“. Per chi si allena a dispetto di età e acciacchi, certo. Per gli altri no.
Quante volte l’abbiamo sentito quello slogan e pure ripetuto. Una retorica che si incardina su una dimensione dilettantistica dello sport. Quando anche alle Olimpiadi era richiesto non essere professionisti.
Ma chi di sport sa e vive, non può non ammettere che la molla è la voglia di vincere.
Prima di tutto contro se stessi. Di migliorarsi, di battere i propri limiti e spostare l’asticella più in alto.
E guai se non fosse così, nessuno si allenerebbe più, il valore del sacrificio sarebbe vanificato. Come accade oggigiorno nella scuola, nell’università, nel mondo del lavoro.
Oggi un trofeo di partecipazione non si nega a nessuno, un reddito di cittadinanza simbolico.
Tutto ciò appiattisce, demotiva, impoverisce.
Nello sport come nella vita. La competizione agonistica vale come metafora della società.
Se il risultato non è importante, perché impegnarsi? Se lavorando di più si guadagna uguale agli altri, perché affaticarsi?
È il principio della deriva verso l’immobilità della Pubblica Amministrazione.
Così è la società odierna: una sommatoria di individui che vogliono un trofeo, ma di spirito di sacrificio non ne hanno una stilla.
Eppure nelle società più competitive delle nostre, almeno fino a qualche tempo fa, l’obiettivo era chiaro: vincere.
Perché il secondo è solo il primo dei perdenti. Parola di chi di sport e vittorie se ne intendeva: il Drake Enzo Ferrari.
O in altre parole: il primo vince ed il secondo non viene classificato.
Invece noi guardiamo e ci consoliamo con la finalina, ma dentro di noi sappiamo benissimo che non conta niente. Anzi ha il sapore di una beffa.
Perché della finalina terzo e quarto posto, in realtà, non se ne è mai infischiato nessuno.
E perché in una società che voglia crescere e prosperare vincere non è importante: è tutto.
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