Economisti – Nella mia libreria si cumulano molti tipi di libri: varie collane di gialli, saggi storici, romanzi, romanzi storici, libri di finanza e molti libri di economia. Una moltitudine di libri a contenuto economico e finanziario.
Ognuno è prigioniero del personaggio che vuole interpretare. Io voglio interpretare l’economista. L’ho detto al mio amico Niccolò che mi ospita sul suo blog e lui mi ha posto questa domanda: quando ci sarà la prossima crisi? Se lo sai, avvisami.
Ci ho riflettuto su. Da anni ci rifletto su. Ho perfino letto un libro di un economista americano Gary B. Gorton (Yale) intitolato “Perché non vediamo le crisi?”. Già, Perché?
Queste le mie analisi e conclusioni, ed ovviamente la risposta che posso dare al mio amico Niccolò.
Perché non vediamo le crisi?
Partiamo da oggi. Siamo in un’era in cui viviamo una economia globalizzata, che è arrivata dopo un periodo di gestazione dell’internazionalizzazione dei commerci.
Negli anni ’90 uno dei più critici al globalismo fu l’economista statunitense democratico, ora premio Nobel, Paul Krugman (Princeton). Accesissimi i suoi testi contro la globalizzazione. Uno era intitolato così “Un’ossessione pericolosa: il falso mito dell’economia globale”, 1997, ma anche “L’incanto del benessere”, 1995. Ce l’aveva su con gli economisti che avevano sostenuto Reagan ed in genere con tutti quelli che erano assertori che la globalizzazione avrebbe aumentato il benessere degli americani (e dei popoli in generale), cosa che poi puntualmente è avvenuta con l’espansione dei commerci e la delocalizzazione delle attività imprenditoriali nei paesi emergenti (all’epoca paesi poveri). Avevano ragione i conservatori dell’epoca dunque. Il mondo è migliorato dagli anni 90 in poi.
Krugman, Premio Nobel
Ha vinto il Premio Nobel per l’economia 2008 per la sua analisi sugli andamenti commerciali e del posizionamento dell’attività economica in materia di geografia economica. Ma è famoso nel mondo economico per aver criticato la new economy degli anni ’90 e per aver guidato Barack Obama nel suo ottennato. Durante questo periodo le critiche repubblicane, portate avanti dal Prof. Nial Ferguson (Harvard) per citarne uno, furono basate sul peso del Welfare State sul debito americano, sull’insostenibilità del debito pubblico degli USA, e sul continuo uso dal 2009 del quantitative easing consentito dalla Federal Reserve. Krugman, ma anche altri, ha teorizzato anche la fine dell’Euro, nel 2010. Eppure siamo sempre qui, con questa moneta, rifiutata dagli inglesi, ma affermata negli scambi internazionali.
Ci interessa sapere chi ha ragione sulla globalizzazione? Sì, no? Ha ragione il Dem Krugman accanito nemico della globalizzazione durante le presidenze repubblicane, ma che poi favorisce la crescita del debito pubblico americano, l’espansione della finanza mondiale a supporto della globalizzazione durante il periodo dem della presidenza USA? Cioè si può essere contro oppure a favore della globalizzazione a seconda della parte politica che si supporta? Krugman ha dunque sbagliato a scagliarsi contro la globalizzazione negli anni 90? ha poi sbagliato a prevedere la caduta dell’Euro? ha poi sbagliato a teorizzare un aumento del debito pubblico americano ed a sostenere un quantitative easing semiperenne? Insomma anche i premi Nobel diciamo, con tutto il rispetto, perché sostenere idee in campo economico non è mai facile, sbagliano. E non di poco come si vede.
Ma perché proprio Krugman?
Giovanni, perché proprio Krugman? Perché nei suoi testi degli anni ’90 che ho in libreria sono forti le critiche al sistema dei professori americani che hanno supportato le scelte globaliste delle amministrazioni repubblicane, per poi ritrovarcelo un decennio dopo e poco più a supportare le scelte dell’amministrazione Obama. Che tutto ha fatto, ma che non ha fatto poi molto per contrastare il globalismo, tutt’altro verrebbe da pensare. I professori americani di economia hanno un certo fascino sulle presidenze. Sono sensibili agli incarichi di consigliere economico del Presidente. Ruolo ambitissimo. Forse pure facile da svolgere nel sistema economico americano.
Ho imparato questo, per rispondere al nostro amico Nicco, che le idee economiche si formano dopo gli eventi economici. Prima vi sono visioni che dipendono dalle proprie convinzioni inconsce, dalla propria sensibilità, formazione, cultura, ambiente che si frequenta. Sarebbe difficile sentire dal consigliere economico di un presidente degli Stati Uniti, che una scelta economica della presidenza produrrà effetti negativi. Probabilmente quell’economista passerebbe ai margini del gruppo di economisti pro presidente.
Krugman mi pare di ricordare insegna a Princeton, Ferguson ad Harvard. Anche questo conta. Per i fondi di ricerca ed il prestigio. Di Ferguson tutti dovrebbero leggere il suo testo più conosciuto “Ascesa e declino del denaro”, testo che merita anche più di una lettura. Una guida al perché esistono le monete e le obbligazioni.
Ogni momento negativo può scatenare una crisi economica
Caro Nicco, ogni momento negativo economicamente può essere il momento iniziale di una crisi economica. Gli effetti però, cioè il sentirla sulla pelle per un cittadino, o per un amministratore pubblico, si vedono solo quando vengono interpretati i dati statistici dai quali scaturiscono atti politici repressivi e limitativi della ricchezza, tipo meno welfare e più tasse. Cosa che nel nostro sistema UE, ed in Italia, ormai da alcuni anni, noi cittadini europei vediamo sotto i nostri occhi: meno welfare, pensioni, tagli alla sanità, liberalizzazione del mercato del lavoro. Nel caso opposto, ovviamente, i cittadini danno per scontato e non si accorgono del loro aumento di welfare, cioè meno tasse e quindi più libertà di scambi di merci e servizi e più diritti.
Conclusioni
Chiudo. La globalizzazione porta vantaggi economici ai quali molti economisti tra cui Krugman, Dem, si sono opposti in modo chiaro ed incontrovertibile, ma quali sono gli svantaggi? Sicuramente la perdita di competitività del sistema, che, come ricordano i maestri di marketing, per le imprese per avere un vantaggio competitivo non è proprio una passeggiata. Figuriamoci se la perdita di competitività riguarda un sistema o un Paese o peggio ancora un’Area Geografica.
L’economista Ricardo ci metterebbe, a noi italiani, sull’isola con la moneta peggiore, perché l’altra isola sarebbe straricca visto i vantaggi competitivi acquisiti. Ecco nei libri di Krugman anni ’90 c’è le più feroci critiche teoriche a livello universitario americano al Globalismo/Globalizzazione.
Critiche che furono proprio il fulcro dei sentimenti Dem di quell’epoca ormai passata, che oggi sono ad appannaggio di quelli che difendono la sovranità sul proprio territorio, la produzione locale di qualità ed i reshoring delle attività economiche portate lontano in paesi che economicamente oggi ci dominano e ci impoveriscono. Non è una cosa “politica”, è una cosa “economica” difendere la propria identità geografica come se fosse una specie di Denominazione d’Origine Controllata.
Si può e si deve cambiar idea, ma ciò che sta accadendo in questi giorni lascia più di un dubbio sulla validità di un sistema economico interconnesso e globalizzato. E sul fatto che per poter competere dobbiamo rinunciare ai nostri diritti/tradizioni/culture.
Dobbiamo sfruttare i nostri vantaggi competitivi
I vantaggi della globalizzazione vanno piegati alla nostra identità economica, fatta di particolarità ed eccellenze spinte nel nostro amato territorio, l’Italia, e difese a denti stretti. Noi abbiamo vantaggi competitivi che gli svedesi o gli olandesi non hanno. E su questi dobbiamo lottare. Dobbiamo avere capacità economica di intraprendere in un mondo a guida chino-americana. Perché così ci difenderemo dalle future crisi.
Quindi, prepariamoci alla nuova crisi economica che inevitabilmente ci sarà, perché questa che stiamo vivendo è in corso, ma non sarà l’ultima, ahimè, per vivere in pace, tra di noi, con le nostre famiglie, con i nostri amici, con il nostro popolo, la nostra storia millenaria… para bellum.
Ciao Nicco.
Giovanni Alterini, economista alle prime armi.
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