L’iniziativa “laboratorio per bambin* trans e gender creative” in programma presso l’università Roma III il 28 Settembre suscita domande importanti riguardo la direzione culturale che sta da tempo prendendo la nostra societa’.
E da questo punto di vista non si può nascondere un certo sconcerto che nasce dall’ incredulità innanzi alla capacità di penetrazione di certi concetti come se fossero delle priorità culturali in questo paese.
Un paese in cui i cittadini ammettono candidamente di non leggere né giornali né libri dovrebbe avere ben altri obiettivi. Invece si assiste passivi, o peggio complici gioiosi, a un declino culturale che investe la nostra società sempre più incapace di pensieri laterali di pensieri critici di letture creative della contemporaneita per rifugiarsi in presunti diritti di nicchia che intendono colonizzare non solo il nostro apparato legislativo ma addirittura la nostra mente. Una società resa gregge dai social e da un mainstream asfissiante dovrebbe interrogare il mondo accademico su come uscire da questa via di involuzione sociale e invece, scopriamo che le priorità sono appunto ben altre. Quella del “Laboratorio” è un’iniziativa che, a detta di chi la promuove, vorrebbe incentivare la conoscenza e quindi l’accoglienza di ragazzi che non si riconoscono nella tradizionali categorie di genere ma hanno sviluppato ( o credono di aver sviluppato) una diversa soggettivita’ sessuale.
Una questione certo seria ma che riguarda forse il 2% della popolazione nazionale e che invece trova uno spazio mediatico e culturale del tutto abnorme rispetto al reale bisogno. Per carità , l’intento sembra nobile, ma, con il dovuto rispetto, nasconde il germe di un insidioso inganno in grado ormai di manipolare (quasi) chiunque Senza incontrare resistenza alcuna. I pochi che hanno il coraggio di contestare, vengono immediatamente tacciati di omofobi o transfobici. Ebbene se Questa è la posta in gioco occorre prendere posizione a costo di prendersi epiteti non meritati. La verità va detta, e tacerla è un crimine.
Questa iniziativa non ha nulla a che vedere con la lotta alla discriminazione o all’accoglienza della diversità.
Inutile prenderci in giro e mascherarsi dietro un falso e ipocrita buonismo.
Da cosa si comprende che l’obiettivo reale è diverso da quello dichiarato? Semplice. I destinatari di questa iniziativa sono, oltre che adolescenti e preadolescenti, bambini delle scuole primarie. Si, avete letto bene! Stiamo parlando di bambini che nemmeno sanno scrivere il proprio nome sul quaderno e che si vorrebbero proiettati in un mondo completamente distante dalla loro realtà, fatto di concetti di difficile comprensione persino per gli adulti.
Come pretendere che un bambino di 5 anni possa capire che cosa è un trans, un non binario e via dicendo? Non vi è alcuna possibilità che lo faccia e sarebbe profondamente ingiusto pretenderlo. I bambini devono fare i bambini. Perché mai un bambino così piccolo dovrebbe sviluppare una consapevolezza che avrà tutto il tempo e tutto il modo di manifestare quando l’età naturale gli porra’ di fronte delle domande importanti sulla sua identità?E se non ci riuscirà da solo, potrà contare in primis sulla famiglia e poi su altri aggregati sociali per ottenere le risposte necessarie e maturare le dovute riflessioni e scelte.
Dunque allora perché pretendere che si cimenti in certe cose a partire da una così tenera età ?
Personalmente ho sempre rifuggito un approccio tendenzialmente complottista delle cose; lo trovo infantile e semplicistico . ma debbo fare pubblica ammenda. perché qui è indubbio che siamo di fronte – e non da oggi – a un tentativo sempre più smaccato ed evidente di reframing sociale. un’ opera di destrutturazione costante che si propone di abbattere il modello culturale nel quale tutti noi siamo cresciuti e che – nel bene o nel male – ci ha formato. Per sostituirvene uno nuovo e terribile propagandato come progresso e civiltà dei diritti.
Verrebbe da ridere se non ci fosse da piangere. E sicuramente da vomitare dallo schifo.
Una destrutturazione lenta ma progressiva che ha accelerato negli ultimi 30 anni secondo il noto schema della finestra di Overton che declina un rimodellamento linguistico e quindi concettuale che funzioni da nuovo background ideologico e al contempo da strumento di pressione per il legislatore.
Una pericolosità estrema si intravede – anzi si vede in modo molto chiaro – che disegna un mondo nuovo da cui prendere le distanze totalmente. Un mondo di macchine votate da subito al perseguimento del proprio piacere del tutto sganciato da ogni responsabilità sociale e individuale completamente disinibito dal cadere di ogni orizzonte spirituale che ne possa indirizzare l’azione . Un vero e proprio mondo distopico che nulla i diritti degli omosessuali (la cui maggioranza – purtroppo silenziosa – condanna simili idiozie) o con altri individui dalla sessualità incerta, ma è funzionale esclusivamente a una minoranza molto organizzata che costituisce la prima linea di questo attacco alla tradizione così come la conosciamo .
E allora come è possibile che il Comitato Etico dell’ università Roma III abbia dato il proprio assenso? Come è possibile che l’Ordine degli Psicologi taccia?
Le Istituzioni infatti non dovrebbero affatto – come sostiene l’ideatrice del progetto – porsi l’obiettivo di costruire strutture amministrative e organizzative in cui gli LGBT siano requisito fondamentale (confessione piuttosto evidente di quale sia lo scopo finale). Le istituzioni dovrebbero proteggere i cittadini più deboli da simili dorme di indottrinamento e lavaggio del cervello. A maggior ragione se si tratta di bambini piccoli.
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